Mentre continuano le cariche a testa bassa della premier Giorgia Meloni contro la magistratura e i bombardamenti dei suoi ministri e pretoriani contro il procuratore di Roma Francesco Lo Voi diventato, per un atto dovuto, il capro espiatorio della disastrosa gestione del caso Almasri – il torturatore ricercato dalla Corte penale internazionale e definito dalla presidente del Consiglio un “cittadino libico” qualunque – c’è un’altra guerra, oltre a quella dichiarata alle toghe, che sembra interessare decisamente meno al governo.
Quella dell’economia. Il bollettino delle ultime 24 ore è impressionante: crescita ferma, con l’Istat che certifica il misero incremento di appena lo 0,5% del Pil nel 2024, smentendo le previsioni da libro dei sogni (1% l’anno scorso e 1,2% per quello in corso) dell’esecutivo (peggio di noi, nel resto d’Europa, tra i big fa solo la Germania); nuovo crollo del fatturato industriale che su base tendenziale ha fatto segnare una flessione del 2,6% in valore e del 2,1% in volume; torna a salire invece il tasso di disoccupazione (6,2% a dicembre, +0,3) mentre esplode letteralmente la Cassa integrazione che l’anno scorso ha fatto segnare un incremento del 20% rispetto al 2023.
Non c’è da stupirsi, allora, che l’indagine per favoreggiamento e peculato a carico di Meloni, dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano, proprio in relazione alla scarcerazione e al rimpatrio di Almasri, sia diventata l’insperata arma di distrazione di massa per fuggire, oltre che dal Parlamento, dalla realtà. Il Paese va a rotoli, ma per Giorgia l’emergenza sono le toghe.