A neppure 24 ore dalla doccia gelata dell’Istat, che ha certificato una crescita da zero virgola del nostro Paese per l’anno in corso, altri due macigni hanno travolto ieri, insieme alle piogge di fine estate, la narrazione da libro dei sogni del governo Meloni. Prima i dati della Fondazione Gimbe che descrivono il Servizio sanitario nazionale come un paziente da terapia intensiva: nel 2023, l’Italia ha investito nel pubblico il 6,2% del Pil contro una media Ocse del 6,9% (quella Ue è del 6,8%). Ancora più impietoso il confronto con i Paesi del G7, tra i quali occupiamo stabilmente dal 2008 l’ultima posizione per spesa sanitaria pro-capite. Con l’aggravante che il gap con le altre economie più sviluppate si è andato progressivamente allargando fino agli scandalosi numeri odierni: 3.574 dollari pro-capite in Italia, contro 7.253 in Germania (più del doppio).
Eppure, solo lo scorso giugno ospite del Tg di La7, la premier Meloni elogiava il suo governo come quello “che ha messo sul fondo sanitario più soldi in assoluto rispetto agli altri governi”, puntando sul dato assoluto (“134 miliardi di euro nel fondo sanitario del 2024”) anziché sul rapporto con il Pil. Ma non è tutto. Sempre ieri un’altra doccia fredda è arrivata dall’Eurostat, che ha certificato come il reddito disponibile reale lordo delle famiglie nel 2023, primo anno intero del governo Meloni, sia diminuito, soprattutto a causa della crescita elevata dei prezzi, attestandosi oltre sei punti al di sotto di quello del 2008. E mentre la media dei redditi Ue è salita da 110,12 a 110,82 in Italia è diminuita da 94,15 a 93,74. Sebbene il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni sia cresciuto dal 64,8% del 2022 al 66,3 dl 2023, il nostro Paese è ancora lontano dalla media europea che si attesta al 75,3%. Anzi, nonostante questo aumento, l’Italia resta ultima in classifica. Per quanto riguarda il reddito, rispetto al 2008, l’Italia ha fatto meglio solo della Grecia (nel 2022 il reddito lordo disponibile era al 72,1% rispetto a quello del 2008). Dati disarmanti che sconfessano la narrazione di quasi due anni di governo. E di fronte ai quali, parlare del caso Boccia-Sangiuliano, per Giorgia & Co, è forse l’imbarazzo minore.