L'Editoriale

Finanziamento pubblico, i partiti ci riprovano

Pd, Lega e Forza Italia vogliono ripristinarlo. Con la scusa degli scandali. Ma Tangentopoli dimostra che non è un antidoto al malaffare

Finanziamento pubblico, i partiti ci riprovano

Riavvolgiamo il nastro. Al 3 luglio 1992. “E tuttavia d’altra parte ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali ed associative e con essi molte e varie strutture politiche e operative hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno, dicevo allora, in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo perché presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro…”.

Craxi dixit

Nel pieno dello scandalo di Mani Pulite, le parole del segretario Psi Bettino Craxi riecheggiarono nell’Aula di Montecitorio svelando all’opinione pubblica ciò “che tutti sanno”: il sistema “irregolare o illegale” al quale la politica italiana si abbeverava.

Nonostante la pioggia di miliardi, a spese dei contribuenti, che si riversavano nelle casse dei partiti sotto forma di finanziamento pubblico. Una cuccagna che evidentemente non è stata sufficiente a sfamare la politica nella sua insaziabile ricerca di denaro anche con mezzi illeciti.

Da Tangentopoli al referendum

Come d’altra parte dimostrano gli scandali che Tangentopoli ebbe il merito di scoperchiare. E di fronte ai quali, sulle ali dell’indignazione popolare, il referendum abrogativo del 1993, approvato con la maggioranza plebiscitaria del 90,25%, chiuse alla politica i rubinetti dello Stato. Inutilmente.

Messo alla porta dagli italiani, il finanziamento pubblico ai partiti rientrò dalla finestra sotto forma di rimborsi elettorali. Una palese violazione della volontà popolare, destinata a protrarsi fino alla mannaia del governo Monti (2012) e al colpo di grazia sferrato da Letta (nel 2013), che lasciò ai partiti le briciole delle donazioni private.

Riparte la carica

Ma le vie della politica, come quelle del Signore, sono infinite. E nonostante le inchieste di Mani Pulite abbiano dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il finanziamento pubblico non sia un antidoto alla corruzione, ribaltando il teorema, dopo la nuova ondata di scandali che dalla Sicilia alla Liguria sta riempiendo le cronache dei giornali, c’è chi torna a parlare di riaprire la borsa dello Stato alla politica come antidoto al malaffare.

E non stupisce che a farlo siano proprio quei partiti che in passato ne hanno beneficiato alla grande. Dal Pd (fu Pci, Pds, Ds) alla Lega a Forza Italia. Capita così di leggere su Repubblica la dem Chiara Gribaudo asserire che “la democrazia ha un costo. E non serve fare demagogia e alimentare il populismo. C’è bisogno di più trasparenza, certo. Ma va pure ridata credibilità alla politica. Anche perché abbiamo visto tutti cosa è successo in Liguria, coi finanziamenti privati senza regole”.

Dal Pd alla Lega a Forza Italia

Stessa ricetta del leader FI Antonio Tajani: “Quando ero giovane ero contrario al finanziamento pubblico però se adesso andiamo a vedere la politica ha un costo, e i partiti, come dice la Costituzione, sono lo strumento di collegamento tra i cittadini e le istituzioni”.

Inutile ricordare che nel 2018 il Movimento 5 Stelle incassò il 32% dei voti senza un euro di finanziamento pubblico. “Se vogliamo rendere la politica meno condizionabile io non vedo altra via”, si aggiunge al coro, dalle colonne dell’Huffington Post, il vice segretario della Lega, Andrea Crippa. Ce n’è abbastanza per stare all’erta. La cuccagna è finita. Ma può ricominciare.