Ci sono gli attacchi che arrivano dall’esterno. Dai presunti alleati, come Calenda, al quale i riformisti dem, quelli che in Europa solo qualche settimana fa hanno sconfessato la linea del Pd dettata dalla segretaria Schlein votando a favore del Piano di Riarmo di von der Leyen, vorrebbero spalancare le porte della futura alleanza di centrosinistra.
“L’unico modo per avere a che fare con il Movimento 5 Stelle è cancellarlo”, tuona il leader (appena riconfermato) di Azione dall’alto del suo 3/4 per cento, accusando Conte, reo di osteggiare la corsa al riarmo europea da 800 miliardi, di essere “un populista di destra, che dovrebbe stare dove è nato, cioè con Matteo Salvini, perché sono la stessa cosa”.
Poi c’è il fuoco interno dei cosiddetti riformisti, che mira allo stesso obiettivo: spostare il Pd dalla linea pacifista di Schlein, spezzando l’asse con Conte, a quella bellicista dei moderati tutti elmetto e moschetto del partito. Preludio della scalata alla segretaria dem. Con il presidente del Copasir, ed ex ministro della Difesa Guerini (ologramma di Crosetto) che avverte la leader definendo “irricevibile” un eventuale No al ReArm Eu di von der Leyen. E quindi il sostegno alla mozione M5S contro la corsa al riarmo che “ci crea solo disagi”.
Come se, oltre a quella del Pd, si sentisse in diritto di dettare pure l’agenda dei Cinque Stelle. Non sappiamo cosa farà la Schlein che ieri ha replicato a Calenda (“decida da che parte stare”). Ma forse è arrivato il momento di dare un segnale forte ai dissidenti. Mettendo alla porta qualcuno che dal Partito democratico avrebbe dovuto essere accompagnato all’uscita già da tempo.