L'Editoriale

È caduta la maschera

Le destre hanno trovato la soluzione finale: manovrare i fili dei giudici nelle sentenze e ora anche nelle indagini.

È caduta la maschera

Quando qualche sciagurato giornalista si è permesso di scrivere che la separazione delle carriere fosse solo un tassello di una riforma che ha come fine ultimo il controllo politico della magistratura, più precisamente delle Procure e dei pm, i benpensanti erano inorriditi. “Come potete pensare una cosa del genere?”, ripetevano in coro nei loro angustiati editoriali. Ora che a dirlo è il capogruppo al Senato del partito della presidente del Consiglio, Lucio Malan – al netto del solito, maldestro tentativo di marcia indietro dopo una giornata di polemiche – scalderanno le penne per dirci che si tratta di una considerazione personale, si spremeranno per tranquillizzarci che no, non accadrà niente di simile.

Il cosiddetto caso Almasri non è diverso dal solito. La maggioranza di governo raccoglie i rifiuti dalla cronaca per farne strumentalizzazione politica. Accade dal primo Consiglio dei ministri, quando Giorgia Meloni esibì tronfia un decreto anti-rave perché dei raduni si parlava nei bar, sui giornali e nelle trasmissioni televisive. In questa occasione, però, l’iscrizione nel registro degli indagati di Meloni è un boccone ancora più goloso. Permette, in un colpo solo, di colpire la presunta magistratura politicizzata, come ai bei tempi del Cavaliere decaduto Berlusconi, e di simulare l’impellenza di una riforma che metta un freno ai giudici.

Essendo abilissimi ad interpretare a proprio vantaggio le norme italiane e il diritto internazionale, ma molto meno a scrivere le leggi, hanno trovato la soluzione finale: manovrare i fili dei giudici nelle sentenze e ora anche nelle indagini. Non serviva essere Cassandra.