L'Editoriale

Dal ricatto del Ppe alla resa dei Socialisti

Dal ricatto del Ppe alla resa dei Socialisti

A destra, com’era facilmente prevedibile, è un coro di applausi. La nomina dell’ex ministro al Pnrr Raffaele Fitto come prossimo vicepresidente della Commissione europea accende un profluvio di dichiarazioni dei partiti di maggioranza. Il ministro dell’Istruzione Valditara parla di “successo per l’Italia”, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani ci mette la retorica patriottica: “Siamo uno dei Paesi fondatori, siamo una grande Nazione, con un governo stabile e un’economia in salute ed è giusto che tutto questo venga riconosciuto e valorizzato”.

Il forzista viceministro alla Giustizia Paolo Sisto ne approfitta per dare una carezza al suo segretario di partito, Antonio Tajani, artefice della nomina “grazie alla sua delicata opera di mediazione”. Il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia Lucio Malan ci vede invece “un capolavoro politico di Giorgia Meloni” e invita “i gufi” a rassegnarsi. Che la confermata presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen morisse dalla voglia di fare entrare nella maggioranza il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (Ecr) di cui fa parte Fratelli d’Italia non è mai stato un mistero. I dietrofront sul Green Deal e nella gestione dei flussi migratori erano un chiaro segnale dell’indole dei Popolari in Europa, come accade qui in Italia: fingersi liberali ma non riuscire a frenare l’inclinazione per le pulsioni autoritarie.

Il grande capo del Ppe a Bruxelles, Manfred Weber, ha giocato sporco fin dall’inizio di questo tragicomico balletto sulla seconda Commissione von der Leyen puntando dritto sulla socialista spagnola Teresa Ribera nel ruolo di vicepresidenza. Le simulate preoccupazioni per le responsabilità dell’ex vicepresidente spagnola sull’alluvione recente di Valencia erano il fondotinta su un ricatto politico. Se il gruppo dei Socialisti&Democratici non avesse votato Fitto, il Ppe (la più grande delegazione a Bruxelles) avrebbe impallinato Ribera per provocare lo stallo. Anche la retorica per additare i socialisti ha fatto la sua parte: la guerra in Medio Oriente e in Ucraina, l’elezione di Trump e il quadro economico globale imponevano per Weber una veloce “assunzione di responsabilità”. Anche questo è un trucco più da sovranisti che liberali, il “chi è contro di me è contro il bene della nazione” è un artifizio antico dalle radici nere.

I socialisti, guidati da Iratxe Garcia Perez, con la benedizione di Pedro Sanchez, ci sono cascati. Così, il prossimo 27 novembre, la plenaria confermerà la seconda commissione guidata da von der Leyen fingendo di non avere smentito il voto del 28 luglio. Lì la commissaria aveva ricevuto il mandato da 401 voti di una solida maggioranza europeista formata dal Ppe, dai socialisti, dai liberali e dai verdi. A giorni, il governo von der Leyen II sarà confermato da una maggioranza frammentata, con diversi voti contrari all’interno di S&D e Ppe, con l’uscita dei Verdi e con l’ingresso dei meloniani a Bruxelles che voteranno in dissenso con i loro compagni di gruppo, i polacchi di Legge e Giustizia.

“Questo è stato un bluff del Ppe”, ha detto il deputato dei Verdi Thomas Waitz, che è anche il presidente del Partito Verde Europeo, riferendosi alle minacce contro Ribera. “Ma ovviamente sono riusciti a far credere ai socialdemocratici che avrebbero potuto rischiare l’intera Commissione solo per aver rifiutato Madame Ribera”. Ne esce malconcio anche il Parlamento europeo. È la prima volta dal 1999 che nessun candidato di un Paese alla Commissione è stato respinto. La nuova Commissione è un prodotto di caminetti politici. Alla faccia di chi s’è fatto eleggere urlando contro i “burocrati” di Bruxelles. A proposito, e il Pd?