L'Editoriale

Costituzione, ultimo argine alla deriva

Non è la Consulta invadente. È la politica a essere invasa da un narcisismo refrattario ai limiti. Ma la Costituzione non si piega.

Costituzione, ultimo argine alla deriva

Ogni volta che un politico accusa un giudice di “ostacolare la volontà popolare”, la Costituzione perde un pezzo. Lo ha ricordato il presidente della Consulta Giovanni Amoroso, riportando ordine dove la politica preferisce il caos: il limite del terzo mandato non è un dispetto a Vincenzo De Luca o a Massimiliano Fedriga, ma un principio generale. Vale per tutti. Fine. Ma la chiarezza oggi non basta. Perché serve coraggio per difendere le regole proprio quando diventano scomode a chi ha potere. Amoroso ha parlato di “attacchi inaccettabili” alla magistratura. Li chiama per nome: delegittimazione, personalizzazione, avvelenamento del dibattito pubblico.

La Corte costituzionale non chiede applausi, ma rispetto. È “l’ultima frontiera” tra il diritto e l’arbitrio. E quando un governo o un presidente di Regione provano a superarla, si rompe qualcosa. Non solo nei rapporti istituzionali, ma nella coscienza democratica del Paese. In tempi di revisionismi continui, ricordare che i giudici non sono eletti ma legittimati dalla legge, che il controllo di costituzionalità è un cardine delle democrazie mature, che la pena ha una funzione rieducativa e non vendicativa, non è un vezzo. È una necessità.

Non è la Consulta a essere invadente. È la politica a essere invasa da un narcisismo refrattario ai limiti. Ma la Costituzione non si piega per accontentare la vanità di un governatore.