Sono diversi anni che non vado alle assemblee di Confindustria. Forse sarà per questo che neanche mi invitano più. Ma da giovane cronista non ne saltavo una perché così facevano tutti quelli bravi, anche se si trattava sempre della stessa minestra: la passerella dei soliti nomi e cognomi, inciuci en plein air e discorsi con più o meno litri di saliva, a seconda di quanto sganciavano alle imprese i governanti del momento.
Ieri perciò valeva la pena di buttarci un occhio, visto che il presidente Bonomi non ha mai perso occasione per dire peste e corna del Governo e dei suoi provvedimenti, salvo poi volare raso terra al momento di avanzare qualche proposta, come resta agli atti degli Stati Generali dell’Economia.
Presa coscienza che la maggioranza giallorossa per adesso regge, e che i miliardi del Recovery Fund non si possono lasciar finire in altre tasche, Bonomi si è improvvisamente dimenticato delle critiche ripetute per mesi e ha appiccicato sul portone di Viale dell’Astronomia lo stemma del Pd. Cambiare il Reddito di cittadinanza e prendere il Mes sono le proposte più robuste (!) di una Confindustria che non è neppure l’ombra di quella che è stata, non a caso guidata da un imprenditore senza impresa.
Con satira finale. “Non vogliamo diventare un Sussidistan”, ha detto il presidente di un’organizzazione che di sussidi ha vissuto sempre, e potrebbe pure chiudere se le aziende pubbliche la smettessero di versare non si sa perché le quote associative. Conte ha comunque offerto un ramoscello d’ulivo. Non credo che servirà. Si accettano scommesse.