Non chiamatelo stato di necessità. Quando si fa un condono perché il Fisco non funziona la necessità è aggiustare l’amministrazione finanziaria e non fare regali a chi non ha pagato. Ma in tempi di pandemia il consenso è merce rara e così a prevalere sono le necessità della politica, che ieri nel decreto ristori ha infilato il più classico dei condoni fiscali.
Un dono del tutto inutile per svuotare il magazzino delle scartoffie perdute nelle società di riscossione, in quanto lo stralcio circoscritto a chi dichiara fino a 30mila euro di reddito lascia in vita la stragrande maggioranza delle cartelle esattoriali. Dunque il minimo risultato con il massimo costo, se nel conto mettiamo il messaggio che viene dato ancora una volta agli italiani: per pagare e per morire c’è sempre tempo, ma se si parla di tasse di tempo ce n’è molto di più, perché in un modo o nell’altro un condono arriva sempre.
Lasciamo allora ogni speranza di vedere aumentare i cittadini onesti, e finiamola con cashback e lotterie degli scontrini. Fare la lotta all’evasione in questo Paese è come togliere l’acqua con un cucchiaino da una nave che affonda. Giusto sarebbe stato in questo momento difficile per molte famiglie e imprese aiutare che vuole pagare e non riesce a farlo, azzerando gli interessi e allungando le rateizzazioni, ma far passare il concetto che oggi diventa carta straccia quanto dovuto fino a cinquemila euro – e domani magari sarà lo stesso per diecimila e più – è la pietra tombale di ogni promessa di rendere la vita difficile ai furbi che fanno fesso l’Erario. Perché qui il vero fesso è chi paga.