È un segno dei tempi: a Conte appena messo piede a Palazzo Chigi passarono il curriculum ai raggi X, cercando il pelo nell’uovo fino all’ultima generazione di familiari e affini, mentre Draghi si sta facendo le consultazioni senza bisogno di portavoce e altri collaboratori, tanto sulla stampa a edicole e tv unificate non c’è sosta alla sua santificazione.
E dire che di cose da raccontare ce ne sono tante su chi è stato il regista della stagione delle privatizzazioni selvagge (autostrade, telefonia e altre partecipazioni statali) a tutto vantaggio di pochi noti. Con questo signore oggi faranno i conti i 5 Stelle, che possono rendergli la vita molto più facile entrando al Governo, oppure lasciarlo a vedersela col Pd, Renzi e Calenda, Salvini e Berlusconi.
Una scelta non facile, perché se si sta in maggioranza si ha qualche chance di difendere le riforme faticosamente ottenute e controllare che i soldi del Recovery Fund non finiscano nelle tasche sbagliate. Ma queste stesse cose si possono fare in parte anche dall’opposizione, e mettersi nella stessa ammucchiata di potere che sosterrà il più splendente vessillifero dell’establishment internazionale tradirà irrimediabilmente la natura anti-sistema del Movimento.
Un ostacolo che Grillo e gli esponenti più aperti ad appoggiare l’ex banchiere centrale europeo conoscono, e che non si sa se potranno superare facendo un nuovo appello alla maturità dei militanti o alla necessità di buttare giù l’ennesimo rospo. A destra, dove sono più abituati a maneggiare il potere, il Cav si è subito gettato a pesce su Draghi, mentre nella Lega anti-europea e anti-euro stanno facendo delle piroette bellissime per entrare nella partita, possibilmente con qualche ministro.
Unica contraria è la Meloni, che sa bene quale papocchio potrà uscire da un Esecutivo con esponenti di tutti i colori, diffidenti tra loro e lontani su tutto. Una babele dove la voce che avrà peso davvero sarà solo quella di Draghi, e una volta data la fiducia sarà interessante vedere chi si prenderà la responsabilità di toglierla, anche quando si dovranno votare le misure impopolari imposte dall’emergenza economica e sanitaria, oltre che dalle pretese delle altre forze politiche della stessa maggioranza.