Prima la legge bavaglio, già approvata alla Camera, che proibisce la pubblicazione integrale o per estratto delle ordinanze cautelari fino all’udienza preliminare. E adesso l’ordine del giorno (vincolante per il governo se approvato) annunciato sempre a Montecitorio, che punta a sottrarre ai magistrati l’arma del Trojan nelle indagini sui reati contro la Pubblica amministrazione. Corruzione compresa.
Una doppietta che porta la firma dell’attivissimo deputato Enrico Costa, in forza al partito di Carlo Calenda ma idolo incontrastato delle destre. Che dopo essersi precipitate a votare l’emendamento bavaglio dell’esponente di Azione, non vedono l’ora di fare altrettanto con l’ordine del giorno che spunta le armi alle procure nella lotta al malaffare. E tutto senza nemmeno doverci mettere la faccia.
Ma se entrambi i provvedimenti fossero già legge cosa sapremmo oggi dell’inchiesta che ha travolto la Liguria? Ad essere ottimisti, giusto i nomi degli arrestati, quelli degli indagati e i relativi capi di accusa. Nulla, per effetto del bavaglio, sulle intercettazioni e il modus operandi del sistema scoperchiato dai magistrati. Nella peggiore delle ipotesi, se la stretta sulla corruzione fosse già legge, l’inchiesta non sarebbe forse neppure partita.
Dopo Tangentopoli ci eravamo abituati, ad ogni inchiesta, alla litania della giustizia ad orologeria. Trent’anni dopo siamo di fronte ad un salto di qualità. In sella ad un cavallo di Trojan per abbattere il confine che separa il garantismo, pure quello ad orologeria, dall’impunità.