L’Italia è “una Repubblica democratica” (art. 1 Costituzione), che “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”, ma resta pur sempre “una e indivisibile” (art. 4). C’è voluta la Consulta, che ieri ha depositato le motivazioni della sentenza con la quale lo scorso 14 novembre aveva dichiarato illegittimi alcuni punti della legge sull’Autonomia differenziata, per ricordarlo agli autori della sconsiderata riforma.
Anche se sarebbe bastato leggersi i primi articoli della Costituzione per evitare di inciampare nell’ennesima legge scritta con i piedi. “Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei ‘popoli regionali’ che siano titolari di una porzione di sovranità”, ha chiarito il verdetto (leggi articoli alle pagine 2 e 3), mettendo il dito nella piaga. E se “il regionalismo corrisponde ad un’esigenza insopprimibile della nostra società”, tuttavia la Corte “non può esimersi dal rilevare che vi sono delle materie… il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà”. Tra queste, giusto per fare un esempio, i giudici costituzionali indicano le “norme generali sull’istruzione” per la loro “valenza necessariamente generale ed unitaria”.
In un Paese come l’Italia, che investe nella scuola appena il 4% del Pil (contro il 6,4% della Danimarca e il 5,5% della Finlandia) a fronte di una media europea del 4,7%, e che è già afflitto da un preoccupante divario educativo tra Nord e Sud, affidare la scuola alle competenza esclusiva delle Regioni rischierebbe di acuire ulteriormente le diseguaglianze territoriali. In una condizione di partenza in cui, già oggi, gli studenti del Sud e delle Isole registrano risultati che, in alcuni casi, equivalgono a un anno scolastico in meno rispetto ai coetanei del Nord. Una condizione che la riforma dell’Autonomia partorita dalle destre avrebbe finito per aggravare. Spaccando l’Italia in due con una sorta di secessione delle regioni ricche che, sentenza della Consulta alla mano, non va solo evitata ma impedita.