Certo, non è il tempismo il miglior alleato di Giorgia Meloni. Appena la premier ha annunciato in pompa magna l’imminente visita alla Casa Bianca, fissata per il 17 aprile, il presidente Usa non è riuscito a trattenersi. Rivelando in mondovisione che, da quando ha deciso di agitare lo spauracchio dei dazi che stanno terremotando da giorni i mercati internazionali, il telefono dello studio ovale ha iniziato a squillare incessantemente. “Pronto Donald, trattiamo?“, sarebbe il mantra ripetuto da plotoni di capi di Stato e di governo che, a detta di Trump, farebbero carte false per baciargli il culo. Senza contare lo stop di 90 giorni ai dazi che fa venir meno l’urgenza della missione di Giorgia.
Così la presidente del Consiglio italiana si ritrova, ancora una volta, tra due fuochi. Da un lato i falchi europei (Francia in testa) che, invocando una risposta adeguata da parte dell’Ue contro le tariffe imposte dagli Usa, vedono con fastidio la trasferta a titolo personale di Meloni a Washington, percepita come un rischio per l’unità dell’Europa più che mai necessaria nella guerra commerciale scatenata dagli Usa contro il Vecchio Continente. Dall’altro gli affondi delle opposizioni italiane (a partire dai Cinque Stelle) che invitano la premier, anziché a baciare le suddette terga a finanziare un ombrello di protezione per le imprese italiane, dirottando sull’economia i miliardi che il governo intende sprecare in armi. Dopo il bacio della pantofola di Biden, ricambiato con quello sulla fronte dall’ex presidente Usa, concedere il bis con Trump, per Meloni sarebbe davvero un atto eroico. Visto anche il posto in cui Donald ha indicato dovrebbero eventualmente posarsi le labbra.