Inutile dire che la scarcerazione di Julian Assange, dopo cinque anni in carcere senza processo – a proposito, avete notato il silenzio dei garantisti à la carte di casa nostra? – per aver fatto il lavoro che ogni giornalista dovrebbe ambire a fare, è sicuramente una buona notizia.
Perché chiude l’ignobile persecuzione alla quale il fondatore di WikiLeaks è stato sottoposto per dodici interminabili anni su mandato degli Stati Uniti. La sua colpa? Aver svelato al mondo una serie di nefandezze perpetrate proprio dagli americani. Come ricorda Andrea Sparaciari, nel 2010 Assange ha pubblicato 70mila file segreti sottratti al governo di Washington relativi a operazioni militari della coalizione in Afghanistan; poi altri 400mila sull’invasione dell’Iraq sottratti al Pentagono; e infine ha diffuso 250mila cablo diplomatici americani (contenenti anche rivelazioni imbarazzanti sullo spionaggio degli Usa ai danni di Paesi e leader alleati).
Notizie che nel nostro gergo si chiamano scoop. Non a caso le sue rivelazioni furono letteralmente saccheggiate anche dai media italiani quando vennero diffuse da WikiLeaks. Le buone notizie, però, finiscono con la sua scarcerazione. Per riavere la libertà Assange è stato costretto a dichiararsi colpevole di uno dei 18 capi di imputazione per i quali rischiava una condanna a 175 anni di carcere negli Stati Uniti.
Accettando una pena pari alla detenzione già scontata: i 5 anni trascorsi in carcere in Gran Bretagna in attesa dell’estradizione fortunatamente mai concessa. Un epilogo che Assange, sfiancato dalla lunga battaglia contro il governo più potente del mondo, ha dovuto alla fine accettare suo malgrado per uscire da un incubo che avrebbe potuto costargli la vita.
Così gli Stati Uniti potranno spacciare un innocente per colpevole salvando la faccia. E usare il caso come monito per chi dovesse in futuro seguire le orme di Assange. Per la serie, colpirne uno per educarne cento. Quanto ai media italiani che gonfiarono le prime pagine – e le vendite – rilanciando i suoi scoop salvo poi relegare la sua battaglia per la libertà di stampa in anonimi trafiletti, farebbero bene a chiedersi se ne sia valsa la pena.