Politica e affari, concentrazione di potere, conflitti d’interessi… c’è di tutto e di più nella scandalosa vendita dell’Agi, la seconda Agenzia di stampa del Paese, di proprietà dell’Eni. Per questo i giornalisti sono in sciopero e il caso è finito in Parlamento, dove però si annida la radice stessa del problema.
Nonostante sia costosa persino per un colosso come il cane a sei zampe, il patron delle cliniche private Antonio Angelucci ha fatto un’offerta per prendersi l’Agi. Niente di strano se non fosse che l’Eni è partecipata dal ministero dell’Economia, presieduto dal leghista Giancarlo Giorgetti, e Angelucci è un parlamentare della stessa Lega. Come ai tempi degli oligarchi al crepuscolo dell’Unione sovietica, con questa operazione lo Stato cederebbe un bene, su cui ha indirettamente il controllo, a un politico della stessa maggioranza che sostiene il governo, e perciò decide della conferma o del licenziamento dei manager che vendono. Tutto in famiglia, insomma.
Chiamato a risponderne personalmente, ieri al question time Giorgetti è caduto dal pero sul conflitto d’interessi, dicendo che non è compito suo occuparsene, e ha posto il tema dell’anomalia di una partecipata pubblica che detiene una fonte d’informazione. Un argomento pure buono se non fosse che i partiti da sempre controllano militarmente la tv di Stato e molta della stampa, in mano a finanziatori amici come, appunto, Angelucci. Un signore che detiene già Libero, Il Tempo, il 70% del Giornale e altre testate, e che con l’Agi si ritroverebbe uno dei maggiori poli editoriali nazionali, capaci di orientare – più di quanto non faccia già oggi – l’opinione di milioni di italiani.
Per arrivare a questa concentrazione, il re delle cliniche private ha già preso milioni di euro con i contributi dello Stato alla stampa, e indiscrezioni sulla trattativa in corso con l’Eni ipotizzano un altro pacco di milioni, gentilmente concessi dal Gruppo petrolifero sotto forma di pubblicità. Tutte notizie di cui Giorgetti ha fatto finta di non sapere nulla, ma che dimostrano l’arroganza con cui le destre al governo mischiano politica e affari, mentre il controllore dorme o, chissà per quale convenienza, fa finta di non capire.