Fiero l’occhio, svelto il passo. La premier Giorgia Meloni, per l’occasione in scarpe ginniche, sulle note del Flik Flok al seguito della fanfara, accenna la tipica corsa di specialità, segno distintivo del corpo dai tempi della Breccia di Porta Pia. Poi offre il capo alla Vaira, il cappello piumato dei Bersaglieri, concedendosi in favore di telecamere al popolo di Ascoli Piceno, accorso festante per l’occasione.
La settimana era iniziata, lunedì scorso, in grande spolvero per la presidente del Consiglio. Ma nel rapido volgere delle ore, le allegre note che hanno scandito la trionfale marcetta di Giorgia hanno ceduto il passo allo spartito di un cupo requiem al capezzale della Patria.
Picconate da Gratteri
A rovinarle la festa ha cominciato lo stesso giorno il Procuratore di Napoli Gratteri prendendo a picconate le riforme della Giustizia del governo in carica (Nordio) e di quello precedente (Cartabia). Perché se “le mafie non hanno ideologie”, ma “votano e fanno votare”, secondo il magistrato, che ha rilanciato l’allarme anche in vista delle prossime elezioni Ue, combattere il malaffare sta diventando sempre più complicato. Per via degli interventi sul codice penale “che non deve essere tagliato con l’accetta per dimostrare all’Europa che il numero dei reati in Italia è calato”.
Sanità a pezzi
Ma è solo l’antipasto. Passano ventiquattr’ore e si scopre dall’ultimo rapporto Adoc-Eures, che tra posti letto persi, vuoti di organico, precariato in crescita e liste d’attesa infinite, il trend ultra-decennale in picchiata della qualità delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale, è proseguito pure nel 2023. Quando 4,5 milioni di italiani (+0,6% rispetto all’anno precedente) hanno dovuto rinunciare a curarsi.
Redditi a picco
In attesa che i poderosi investimenti per la Sanità rivendicati dal governo facciano il loro corso, nella stessa giornata è arrivato pure l’uno-due micidiale messo a segno da Istat e Ocse. Istituto quest’ultimo più volte citato proprio dalla premier per sostenere che i redditi delle famiglie in Italia sono messi meglio rispetto ad altri paesi.
Peccato che l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico l’abbia sonoramente smentita. E’ vero che il reddito reale delle famiglie per abitante nei paesi Ocse è cresciuto dello 0,5% nel quarto trimestre 2023. Ma nei 19 Paesi per i quali i dati sono disponibili, 11 hanno registrato un aumento, 6 un calo e 2 sono rimasti stabili.
E l’Italia? Tra quelli in flessione ça va sans dire, con una diminuzione dello 0,4%. Prima dell’Ocse, peraltro, ci aveva pensato l’Istat ad anticipare le brutte notizie. Certificando che i redditi delle famiglie, diminuiti nel 2022 in termini reali del 2,1%, non tengono più il passo dell’inflazione.
Più poveri senza Reddito di cittadinanza
E arriviamo a mercoledì. Quando pure l’Assegno d’inclusione, cavallo di battaglia (ma soprattutto di troia) del governo per scardinare l’odiato Reddito di Cittadinanza, è caduto sotto i colpi della Commissione Ue. La misura delle destre “determinerà una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile (rispettivamente di 0,8 punti percentuali e 0,5 punti percentuali) rispetto al regime precedente”, ha messo nero su bianco Bruxelles.
Altro che boom
Smontando pure la narrazione del governo sul (presunto) boom dell’occupazione. Nonostante i limitati miglioramenti nel 2023, la Commissione Ue ha infatti evidenziato che in Italia “la percentuale di contratti a tempo determinato rimane tra le più alte nell’Ue”. Elemento che, combinato all’elevata incidenza di forme di lavoro non standard, (a cominciare da quello stagionale) ha portato a “una diminuzione del numero di settimane lavorate all’anno e contribuisce a un’elevata disuguaglianza e volatilità dei guadagni annuali”.
Corsa al riarmo
Intanto continuiamo a spendere e spandere per armarci fino ai denti. Con il fiato sul collo del segretario generale della Nato Stoltenberg sbarcato nei giorni scorsi a Roma per battere cassa, sollecitando l’Italia ad adempiere quanto prima all’impegno di destinare il 2% del Pil agli investimenti militari, un’interpellanza del Movimento 5 Stelle appena depositata alla Camera elenca il carrello della spesa programmata nei prossimi anni.
Shopping militare
Per l’Esercito 271 carri armati tedeschi Leopard 2A8; 125 carri armati Ariete ammodernati allo standard C2; 680 carri cingolati leggeri per rimpiazzare i carri Dardo e i M113. Per l’Aeronautica caccia di sesta generazione Tempest. Per la Marina una coppia di fregate Fremm; una seconda coppia di sottomarini U212 Nfs; un nuovo programma navale per i 12 cacciamine.
Ma non finisce qui. Secondo l’Osservatorio Mil€x, si aggiungono alla lista, due importanti programmi di riarmo per l’acquisto di droni armati di classe Male Astore e di batterie lanciamissili Atacms di produzione americana.
Extra-profitti intoccabili
Passando alla cassa, secondo Rete Italiana Pace e Disarmo, la previsione di spesa militare dell’Italia nel 2024 ammonta a circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1,4 miliardi rispetto al 2023 pari a una crescita del 5,5 per cento sull’anno precedente.
Affari d’oro per i grandi produttori di armi, al riparo dalla leva fiscale del governo. Che ha tagliato il Reddito di Cittadinanza ai poveri cristi, ma ha lasciato che l’industria militare continuasse a macinare extra-profitti da capogiro (ed esentasse) direttamente proporzionali al numero dei morti causati dalle guerre in corso. Avanti così. Verso il baratro. Alla bersagliera.