Di Stefano Sansonetti
Negli ultimi cinque anni è stata spesa la bellezza di 1 miliardo e 300 milioni di euro. Il conto, salato, è stato presentato al ministero della giustizia dalle società che curano le intercettazioni telefoniche. Forse è il caso di partire anche da questa cifra, se si vuole affrontare con consapevolezza il tema delle intercettazioni utilizzate dalle procure. L’argomento, nei giorni scorsi, è tornato di attualità nel momento in cui il presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha presentato le linee guida sulla riforma della giustizia in compagnia del titolare del dicastero di via Arenula, Andrea Orlando. Per carità, i limiti della pubblicabilità delle intercettazioni rappresentano una questione di assoluto rilievo. Ma l’aspetto più rilevante, soprattutto per le ricadute sulle casse dello Stato, è proprio quello economico. Da trattare con le pinze, perché se è vero che alcune volte gli “ascolti” vengono usati per fare “pesca a strascico”, è altrettanto vero che se vengono sapientemente gestiti fanno recuperare parecchi soldi.
Le cifre
Per capire come e perché vengono spesi denari pubblici per intercettazioni, bisogna attingere dal combinato disposto della “Relazione sulla amministrazione della Giustizia 2013” e dal “Rapporto sulla spesa delle amministrazioni centrali dello Stato 2012”. Il primo documento, redatto dal ministero della giustizia, dice che nel 2013 la dotazione di bilancio per le intercettazioni è stata di 200 milioni di euro, “a fronte di una spesa attesa quantificata in circa 240 milioni”. I dati storici, continua la relazione, “evidenziano una lieve flessione della spesa”. Dai circa 300/280 milioni spesi per ciascuno degli anni 2009 e 2010, si è passati ai 260 milioni registrati nell’anno 2011 e ai 250 milioni per l’anno 2012. Facendo una somma degli ultimi 5 anni, allora, viene fuori che per le intercettazioni disposte dalle procure l’assegno finale è stato di 1,3 miliardi di euro. Attenzione, però. Come ha spiegato a La Notizia Tommaso Palombo, presidente dell’Iliia, l’associazione che riunisce 50 società operanti nell’istallazione e produzione di attrezzature, nell’assistenza tecnica e nel noleggio, le cifre degli ultimi anni “contengono anche il saldo dei debiti che il ministero della giustizia ha accumulato nel corso del tempo”. E qui va fatto riferimento al Rapporto sulla spesa delle amministrazioni dello Stato 2012, l’ultimo disponibile predisposto dalla Ragioneria generale dello Stato. Ebbene, in un passaggio viene spiegato che a fine 2009 le spese di giustizia avevano creato al ministero un debito “fuori bilancio” della bellezza di 600 milioni di euro. Per spese di giustizia si intendono anche quelle sostenute per consulenze, custodie, perizie, patrocini a spese dello Stato e via dicendo. Ma non c’è dubbio che al loro interno quelle per le intercettazioni pesino molto, se si considera che ad aprile del 2010 l’allora ministro della giustizia, Angelino Alfano, rivelò che il debito del ministero verso le società di settore ammontava a 500 milioni di euro.
La peculiarità
Ora, lo stesso Rapporto della Ragioneria, che arriva fino al 2011, ci dice che alla fine di quell’anno i debiti fuori bilancio risultavano abbattuti a “soli” 29 milioni di euro. Certo, la Ragioneria stessa, quasi a dubitare di questo trend, specifica che si tratta dello stock “dichiarato dall’amministrazione”. Sta di fatto che un documento ufficiale sostiene che in due anni sarebbero stati saldati 571 milioni di debiti “fuori bilancio” per spese di giustizia. Il problema però, secondo Palombo, ora non è nemmeno tanto quello dei pagamenti, che in qualche modo lo Stato ha sbloccato. La questione, semmai, “è quella della gara unica per le intercettazioni”. Si tratta del progetto che era stato messo in cantiere dall’ex capo del Dog (Dipartimento organizzazione giudiziaria), Luigi Birritteri. L’obiettivo è quello di risparmiare, ma il presidente dell’Iliia fa notare che “l’esito potrebbe essere opposto”. Il discorso di Palombo è semplice: i reati non si possono prevedere, né le esigenze che dovessero emergere di volta in volta. Per questo si rischia di pagare, all’esito della gara unica, una cifra che poi magari dovrà essere integrata. Adesso la palla è passata al successore di Birritteri, ovvero Mario Barbuto, che però si è insediato da poco.
La sfumatura
Il ministro Orlando, dal canto suo, in una recente audizione parlamentare ha cercato di addolcire il progetto Birritteri parlando non tanto di gara unica, quanto di “stazione appaltante unica”. Ma l’ipotesi non tranquillizza più di tanto Palombo, il quale peraltro ricorda che “quello delle intercettazioni è un costo, ma è innegabile che lo strumento faccia recuperare allo Stato molti più soldi”. E qui il presidente dell’Iliia conclude facendo l’esempio del Fondo unico giustizia, che solo in termini di liquidità sequestrata ha portato in dote circa 2 miliardi di euro. Ma è chiaro che il dibattito rimane aperto. Anche perché, come spiega ancora la “Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2013”, nonostante il parziale sblocco dei pagamenti il ministero della giustizia nel solo 2013 è stato oggetto di ben 89 nuovi decreti ingiuntivi, “la maggior parte causati dal mancato pagamento delle spese connesse all’attività di noleggio di apparecchiature per intercettazioni telefoniche”. Insomma, Renzi e Orlando si trovano di fronte a un campo minato.
La tattica di Renzi sugli ascolti. Una strizzata d’occhio a Fi
di Maurizio Grosso
Il sapore è quello di un’altra manovra di marketing, magari perfezionata per strizzare l’occhio a qualche componente della maggioranza indispensabile per condurre in porto le altre riforme (vedi Forza Italia). Il fatto è che, come per gli altri punti delle linee guida sulla riforma della giustiza, in materia di intercettazioni il governo Renzi non ha uno straccio di idea. Ed è stato lo stesso premier, die giorni fa, ad ammetterlo candidamente. Quello delle intercettazioni, ha detto il presidente del consiglio, è “l’unico terreno su cui non abbiamo pronta una norma. Vogliamo aprire una discussione con la stampa e gli operatori dell’informazione. Un magistrato deve essere libero di intercettare, ma dove sta il limite della pubblicabilità? Ci sono vicende personali che attengono alla privacy e che possono essere slegate dalle indagini. A volte è mancato il rispetto”.
Ieri, sul tema, è arrivata una risposta da parte di Antonio Padellaro, direttore de il Fatto Quotidiano, una delle testate che più lavora sui verbali delle intercettazioni portate avanti dalle procure italiane.
Il quale, senza troppi giri di parole, ha detto che “se il presidente del consiglio vuole fare cosa giusta, non faccia niente. I giornalisti italiani, così come i loro lettori, sono abbastanza maturi per decidere cosa è interessante e pubblicabile e cosa no”. Renzi, dal canto suo, aveva sottolineato la necessità di nuovi paletti, da stabilire però con l’ “aiuto” dei direttori dei quotidiani: “Faccio appello ai direttori, aiutateci a capire che cosa è giusto fare. Qual è il limite per la pubblicazione? Non c’è? Alla fine dei due mesi decideremo. Il punto centrale è che nessuno vuole bloccare le intercettazioni dei magistrati, strumento al servizio della giustizia”. Poi Renzi si era soffermato sull’informatizzazione integrale del sistema giudiziario e sulla riqualificazione del personale amministrativo.
Nelle linee guida sulla riforma della giustizia, poi, c’erano altre punti, che al momento altro non possono apparire che meri slogan: riduzione dei tempi della giustizia civile con l’obiettivo di arrivare alla sentenza di primo grado entro un anno. Dimezzamento dell’arretrato che ha raggiunto le dimensioni monstre di 5,2 milioni di processi pendenti. Una “corsia preferenziale” in tribunale per le imprese e le famiglie. La già ricordata “discussione” sulle intercettazioni telefoniche, in particolare sui criteri di pubblicabilità da parte dei mezzi d’informazione. E ancora, carriere in magistratura per merito e non in base all’appartenenza a una corrente. Poi la riforma del Csm, al termine della quale dovrà essere netta la distinzione tra “chi nomina e chi giudica”. Per adesso un libro dei sogni.