di Gaetano Pedullà
Un giorno ci siamo, un giorno no. Un giorno siamo vicini all’accordo per il governo, un giorno è di nuovo tutto in alto mare. E intanto il tempo passa. Le imprese chiudono. I disperati che si suicidano, muoiono. E anche la speranza non si sente troppo bene. Ma a che gioco sta giocando questa politica senza più decenza e senza vergogna?
Il risultato elettorale ci ha consegnato una situazione ingestibile. Non prenderne atto è forse il gesto meno saggio che si sia mai visto al Quirinale. Tornare alle urne con il porcellum non garantisce un risultato differente, dicono partiti e fiancheggiatori (anche nei giornali). La verità è che tremano come foglie: un nuovo voto potrebbe completare l’opera e mandare a casa anche i sopravvissuti all’ecatombe politica del 25 febbraio scorso. La foglia di fico utilizzata è la necessità di fare qualunque cosa, anche un governicchio (ma chiamarlo governissimo fa più ganzo) per cambiare la legge elettorale e poi tornare a votare. Ma lo sanno anche i bambini che per cambiare la legge elettorale ci vogliono mesi e soprattutto una maggioranza politica che non c’è. Inevitabile, dunque, se mai si percorrese questa strada, ritrovarsi tra sei mesi o un anno senza nuova legge elettorale e nella stessa situazione di stallo che viviamo adesso.
Mentre al Colle si beve l’acqua calda scoperta dai saggi (per proporre di tagliare il numero dei parlamentari serviva proprio saggezza pura!) e Pd-Pdl-Monti cincischiano, l’unico che ci sta mettendo la faccia nel dire le cose come stanno è Matteo Renzi, non a caso già da tempo il nemico pubblico numero uno dentro il suo stesso partito. Un Pd arrivato alla frutta; dove ormai siamo ai colpi più bassi; allo scontro tra bande. Ma a che servono partiti così?