Un rilancio a dir poco veemente, che però sembra nascondere un timore non da poco. Il presidente del consiglio, Matteo Renzi, risponde a brutto muso all’Unione europea che mette in dubbio l’opportunità di abolire le tasse sulla prima casa. Il premier ieri ha garantito che la misura verrà presa, anche se Bruxelles è contraria. Ed è proprio da qui che prende corpo il vero piano fiscale che ha in mente il Governo, ben diverso dalla stratosferica promessa di tagli di tasse per 35 miliardi entro il 2018. La realtà è che Renzi, consapevole dell’impossibilità di recuperare tutte queste risorse per le relative coperture, punta a mantenere soprattutto una parte di quella megapromessa, ovvero l’abolizione della Tasi sulla prima casa e di quel che resta dell’Imu. E l’obiettivo verrà verosimilmente centrato, visto che il suo costo complessivo non supera i 5 miliardi di euro.
LA STRATEGIA
Del resto l’argomento prima abitazione non è stato scelto a caso, da ultimo proprio per replicare a quell’Europa che invece vorrebbe che le riduzioni fiscali si concentrassero sulle imprese e sul lavoro in generale. Il premier, evidentemente memore degli exploit comunicativi di Silvio Berlusconi, sa che quello della casa è un tema che fa enorme presa sui contribuenti. Garantire la cancellazione di Tasi e Imu, quindi, rappresenta al momento la promessa a effetto per eccellenza. Quella, tanto per intenderci, che Renzi ha intenzione di onorare a tutti i costi, un po’ come ha fatto per gli ormai famosi 80 euro. Insomma, il Governo su questo non ha la minima intenzione di mollare. E il resto della promessa fiscale da 35 miliardi di euro? Qui, nell’inner circle renziano, prevale un’intenzione strategica che più o meno è la seguente: intanto togliamo la Tasi, raccogliendo subito consenso, poi si vedrà. Che questo piano possa funzionare è tutto da vedere. Perché comunque agli “annali” televisivi è stato consegnato nel luglio scorso un programma che prevede anche l’alleggerimento del combinato disposto Irap-Ires nel 2017 e addirittura la rimodulazione degli scaglioni Irpef nel 2018.
GLI SVILUPPI
Per onorare questi altre due promesse servirebbe una trentina di miliardi. Troppi, in ogni senso. In primis perché è quasi impossibile, contrariamente a quanto sostiene Renzi, che l’Unione europea possa concederci un margine di flessibilità nella gestione dei conti pubblici dell’1% di Pil, pari a 16-17 miliardi di euro. In secondo luogo perché la spending review, dalla quale si attende un miracolistico effetto da 10 miliardi di euro solo a partire dal primo anno (2016), è ancora ben lontana dal produrre effetti così incisivi. Ci sono misure, come i tanto decantati tagli delle società partecipate e delle stazioni appaltanti, che esigono tempi lunghi per poter avere concretizzazione. Ecco perché, ora come ora, è meglio ottenere il massimo risultato con il minimo costo. E la Tasi, da questo punto di vista, è il terreno perfetto.