Il mondo del Cinema italiano perde uno dei suoi interpreti migliori ed eclettici: Paolo Villaggio è morto a 84 anni. L’attore, nato a Genova il 30 dicembre del 1932, era ricoverato da qualche giorno al Policlinico Gemelli di Roma a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute.
La carriera di Paolo Villaggio è stata caratterizzata dal personaggio di Fantozzi, nato nel 1975 con il film diretto da Luciano Salce. Il successo della pellicola, che raccontava in maniera grottesca l’impiegato statale, ha portato così a inaugurare una vera e propria serie, con Neri Parenti alla regia. La sua comicità spesso macchiettistica ha conquistato milioni di spettatori, attraversando varie generazioni e sopravvivendo ai critici intellettuali. Fantozzi è diventato, con gli anni, oggetto di studio grazie alla sua capacità di saper svelare i difetti dell’Italia del boom economico.
Ma ridurre l’attività di Villaggio solo a Fantozzi è riduttivo: la notorietà era infatti arrivata qualche anno prima, alla fine degli Anni Sessanta, con il personaggio del professor Kranz e poi con quello di Giandomenico Fracchia, entrambi grotteschi e innovativi per l’epoca. Negli anni Novanta è stata fortunata anche la collaborazione con Renato Pozzetto con Le Comiche che risultò campione d’incassi nel 1990.
Villaggio ha lavorato con alcuni giganti del Cinema italiano, come Mario Monicelli ed Ermanno Olmi. Ma soprattutto a sdoganarlo dal mondo della comicità è stato Federico Fellini, che volle l’attore, insieme a Roberto Benigni, nel film La voce della luna, l’ultimo diretto dal grande regista. “Benigni e Villaggio sono due ricchezze ignorate e trascurate”, disse Fellini elogiando i due comici. Nel 1992 arriva la consacrazione popolare dell’attore in un ruolo impegnato con Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmüller, che racconta Napoli con lo sguardo disincantato di un professore che si trova per sbaglio a dover lavorare in Campania. Proprio nel ’92 Villaggio ha ricevuto il Leone d’Oro alla Carriera al festival del Cinema di Venezia.
Negli ultimi anni, dopo aver abbandonato le maschere comiche, l’attore si era dedicato alla scrittura per il teatro, “divertendosi” a bersagliare il potere e i luoghi comuni nei suoi interventi pubblici.