di Stefano Sansonetti
Un atteggiamento incomprensibile. Tanto più se si considera che la Cgil è un sindacato che in passato ha sfilato accanto ai giornalisti contro le varie “leggi bavaglio”. Ma al di là di quello che fa la sigla guidata da Susanna Camusso, è il problema generale delle cosiddette querele temerarie a imporre interventi urgenti. Misure in grado di limitare l’abuso da parte dei potenti di turno di uno strumento che ormai, più che per difendere la propria rispettabilità, viene utilizzato come strumento di pura intimidazione nei confronti di chi fa inchieste. Esattamente come il sindacato della Camusso ha fatto nei giorno scorsi con La Notizia, “responsabile” di aver svolto un’inchiesta sugli affari del sindacato, dai Caf all’editoria, dalla finanza rossa alle opere d’arte e alle fondazioni svizzere (vedi il numero di ieri).
“Ma almeno la Cgil vi ha chiesto prima una precisazione?”, si chiede Enzo Iacopino, presidente dell’ordine dei giornalisti, contattato dal nostro giornale. Macché, la sigla di Corso d’Italia è passata subito alle vie giudiziarie, con un atto di 40 pagine nel quale peraltro non è mai detto che abbiamo scritto cose false ma solo che le abbiamo raccontate con “accostamenti suggestionanti”. Ma il passaggio non è di poco conto.
“Senza entrare nel merito del contenuto delle vostre inchieste”, spiega Iacopino, “è curioso che un’organizzazione sindacale che ha manifestato accanto ai giornalisti contro le leggi bavaglio non si affidi prima a una precisazione”.
La questione generale ormai è urgente. Ieri Iacopino e altri direttori di giornale ne hanno parlato alla camera in un’audizione durata circa tre ore.
Una normativa da cambiare
“Il tema posto all’attenzione del parlamento è stato quello della querela temeraria”, riferisce il presidente dell’ordine, “un fenomeno che va sanzionato”. Tre i punti principali sui cui si dovrebbe intervenire, tutti posti davanti al parlamento.
“Il primo è proprio quello della sanzione per chi querela, perché non è possibile tenere sotto scacco un giornale per tutta la durata di un procedimento che si conclude senza nessuna conseguenza per il giornalista”.
Poi, dice ancora Iacopino, “si deve prevedere la necessità di una richiesta di chiarimento, attraverso la rettifica. Se è in gioco la rispettabilità di chi è toccato dall’articolo, questa non viene in prima battuta tutelata con il risarcimento, ma con una rettifica immediata”. Infine “c’è il problema dell’entità del risarcimento, che spesso è una pistola puntata alla nuca del giornalista”.
Il cantiere
La sensazione è che il parlamento abbia seguito con attenzione l’esposizione dei punti più critici della situazione attuale e le proposte per migliorare il sistema.
Adesso non bisogna fare altro che aspettare l’evoluzione della proposta di legge sulla diffamazione che arriverà il 26 luglio in aula a Montecitorio. Ieri alla camera erano presenti tutti i principali direttori di giornali, agenzie e tg.
Dopo l’escalation di querele temerarie degli ultimi anni, in effetti, non si può più rimandare un intervento normativo per scoraggiare gli abusi dello strumento da parte di chi è insofferente nei confronti delle inchieste giornalistiche che mettono in evidenza verità scomode.