di Lapo Mazzei
D’accordo, le riforme vannCerto, fra i milioni di posti di lavoro reiteratamente promessi da Silvio Berlusconi, a partire dal famoso contratto con gli italiani del 2001, ai 200 mila stimati da Enrico Letta, grazie al varo del provvedimento che affronta il nodo della disoccupazione, c’è un abisso tale che nessun saldo contabile è in grado di rendere perfettamente l’idea. L’unica cosa rimasta immutata nel tempo è la consapevolezza, anzi una granitica certezza, che i posti di lavoro non si creano con un decreto. Chiunque sia a proporlo e a scriverlo. Il lavoro, in senso lato, o c’è o non c’è. E, con esso, l’occupazione.
Il mito della piena occupazione
Nell’immediato dopoguerra Giorgio La Pira (ci sia permessa questa digressione, confidando nella pazienza del lettore) viene eletto alla Camera dei Deputati. Alcide De Gasperi lo chiama come sottosegretario al lavoro nel suo quinto governo. In tale funzione La Pira si trova spesso a svolgere un difficile ruolo di mediatore in aspre battaglie, tra sindacati agguerriti, industriali non disposti a cedere e i ministri del bilancio e delle finanze poco inclini alla trattativa. Sembra oggi, eppure è ieri. Seguendo gli economisti inglesi Keynes e Beveridge, La Pira indica, come obiettivo fondamentale dell’azione politica, la “piena occupazione”. Dare lavoro a tutti non è un miraggio, ma un obiettivo possibile. La politica doveva rispondere, diceva La Pira, “alle attese della povera gente”. Una frase che divenne il titolo di un suo famoso articolo, che suscitò un profondo dibattito. Ecco, questo Paese, mai come in altri momenti, dovrebbe saper rispondere a quel bisogno.
E il decreto sul lavoro varato dal governo Letta muove in quella direzione, avendo dentro sé tracce infinitesimali della lezione di La Pira della quale il premier non è affatto estraneo, ma che messo alla prova dei fatti mostra più di una crepa. E non tanto nell’accezione di Beppe Grillo, che ha attaccato il governo come fosse un toro nell’arena, non avendo correttamente decifrato il provvedimento, quanto nell’applicazione pratica.
Il dettaglio del decreto
Scendendo nel dettaglio, il provvedimento licenziato dal Consiglio dei ministri contiene misure a favore del lavoro con uno stanziamento complessivo di 1,5 miliardi di euro. Il testo sul lavoro prevede un incentivo fino a un massimo di 650 euro mensili per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato.
La bozza è fatta di 10 articoli. L’incentivo è istituito in via sperimentale ed è destinato ai giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni: l’ammontare complessivo è pari a 800 milioni di euro e corrisponde al 33% della retribuzione mensile lorda complessiva, per un periodo di 18 mesi, “ed è corrisposto unicamente mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili del periodo di riferimento, fatte salve le diverse regole vigenti per il versamento dei contributi in agricoltura”.
Il lavoro e l’Europa
Il presidente del Consiglio si è detto certo che il pacchetto potrà “aiutare l’assunzione di 200mila giovani italiani con una intensità maggiore nel centro-sud, ma con un intervento che riguarda l’intero Paese”.
Il pacchetto lavoro, ha sottolineato ancora, “mi consentirà di andare in Europa a fare la battaglia contro la disoccupazione giovanile”.
Insomma, “adesso siamo nella fase più complicata, una sorta di Gran Premio della montagna, perché i conti sono quelli di quest’anno”, ma alla fine del 2013, e grazie anche all’uscita dell’Italia dalla procedura di deficit eccessivo, “ci sarà la pianura e l’anno prossimo la discesa quando imposteremo la legge di Stabilità del 2014”, ha detto ancora Letta.
Per poter usufruire degli incentivi alle assunzioni i giovani devono possedere almeno una di queste condizioni: essere privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; essere privi di un diploma di scuola media superiore o professionale; devono vivere soli con una o più persone a carico.
E non tutte e tre insieme come aveva capito Beppe Grillo.
Il bonus viene istituito “al fine di promuovere forme di occupazione stabile di giovani” e “in attesa dell’adozione di ulteriori misure da realizzare anche attraverso il ricorso alle risorse della nuova programmazione comunitaria 2014-2020”. L’incentivo verrà corrisposto “per un periodo di 12 mesi ed entro i limiti di 650 euro mensili per lavoratore nel caso di trasformazione a tempo indeterminato”.
Largo agli anziani
Nel decreto, però, non ci sono solo i giovani senza lavoro. La bozza del disegno di legge prevede agevolazioni pure per i soggetti con più di 50 anni di età, disoccupati da oltre dodici mesi. Malgrado la soddisfazione di Angelino Alfano, il Popolo delle libertà giudica con forte scetticismo le mosse del governo. Particolarmente dura Daniela Santanchè: “Dal governo solo aspirine per malati gravi. Quello che ha fatto il Consiglio dei ministri è troppo tiepido rispetto ai bisogni reali che hanno famiglie, imprese e lavoratori”, ha spiegato. “Rimandare non significa risolvere i problemi, semmai lo stallo aggrava le situazioni.
E poi: dove è andata la promessa di zero tasse per chi assume giovani? Cosi il nostro popolo non può essere contento”, ha assicurato.
I sindacati
Le reazioni dei sindacati ai provvedimenti varati da Palazzo Chigi sono state positive. “Non possiamo che confermare il fatto che è positivo che il provvedimento degli incentivi si rivolga ad assunzioni a tempo indeterminato, a trasformazioni di contratti precari in contratti a tempo indeterminato, quindi questo è sicuramente un segnale positivo – dice il segretario della Cgil Susanna Camusso – anche se “il senso vero di una svolta può venire solo con un intervento significativo di redistribuzione dei redditi, che non è l’oggetto di questo decreto”.
Come sempre poi – precisa – un decreto bisogna leggerlo per capirne esattamente gli elementi”. Ecco, è appunto questo il nodo.
Una volta letto viene un enorme dubbio: ma che avranno voluto dire? Tanto lavoro per poca occupazione…