“Quando i cittadini scelgono è sempre una buona notizia”. Così Matteo Salvini ha commentato il fatto che grazie ai voti dei suoi senatori si è raggiunta la quota per necessaria per poter chiedere il referendum confermativo sulla riforma costituzionale che taglia i parlamentari. Riforma approvata in via definitiva dalle camere (a cui la Lega ha votato sì per ben quattro volte) e che gode di percentuali di gradimento bulgare fra gli elettori. Il referendum è sicuramente il più importante istituto di democrazia diretta, attraverso il quale i cittadini possono esprimere la propria opinione direttamente su una norma, un atto o una decisione da assumere senza la mediazione del Parlamento e su questo non vi è dubbio, ma secondo un sondaggio del sociologo Ilvo Diamanti, il giudizio popolare sul taglio delle poltrone dei parlamentari avrebbe un risultato assolutamente scontato: voterebbero a favore l’86% dei cittadini, quasi nove elettori su dieci.
C’era dunque bisogno di indire una consultazione referendaria? La motivazione “nobile” fornita dal leader della Lega ovviamente non sta in piedi, perché come abbiamo visto il margine di bocciatura è praticamente nullo. Per sua stessa ammissione la sua è una motivazione del tutto politica: secondo i suoi calcoli il referendum potrebbe accelerare la data delle elezioni anticipate, da mesi leit motiv di ogni suo intervento pubblico. “Sì, abbiamo dato un contributo per avvicinare la data, prima va a casa questo governo di incapaci e meglio è, non per Salvini ma per l’Italia”, ha tuonato il segretario della Lega durante un comizio in provincia di Catanzaro, in vista delle elezioni regionali in Calabria che si terranno il prossimo 26 gennaio, insieme alla consultazione in Emilia-Romagna. Elezioni considerate dal Capitano uno spartiacque, un punto di non ritorno a cui sta dedicando da settimane tutte le sue energie.
Una personalizzazione estrema del voto regionale che Salvini arriva a paragonare addirittura ad una scelta di vita: “Vorrei che passasse questo messaggio: il 26 gennaio non sono elezioni, è una scelta di vita, un referendum tra il passato e il futuro. E chi non sceglie, chi lascia che siano altri a scegliere al suo posto, chi si fa scivolare la vita addosso e poi borbotta e si lamenta non è protagonista. Io voglio una Emilia Romagna di protagonisti”, ha detto ieri a Parma. Magari, fra una cena e l’altra, un comizio e un selfie, poteva far passare anche questo di messaggio: lo Stato spende circa 300/350 milioni di euro per indire un referendum. Ora, i referendum voluti dalla Lega sono due, quello confermativo per il taglio dei parlamentari e quello per l’abolizione della quota proporzionale della legge elettorale oggi in vigore (vedi pezzo a pagina 5), il conto finale è presto fatto: potrebbe arrivare a circa 700 milioni di soldi pubblici. Che equivalgono a quasi dieci anni di risparmi che potrebbero derivati dal taglio dei parlamentari la cui stima annua è di quasi 82 milioni. Non proprio un affare, dunque, per i cittadini.