Mentre a Milano e Torino si aprono i forum congiunti tra imprenditori italiani e una delegazione saudita di cento rappresentanti di ministeri, agenzie governative e aziende private, il governo italiano si prepara ad accogliere con tutti gli onori i partner di Riad. È la più grande delegazione imprenditoriale saudita mai arrivata in Italia, impegnata a esplorare sinergie su energia sostenibile, trasformazione industriale, innovazione tecnologica e città intelligenti. Kamel Al-Munajjid, presidente del Consiglio imprenditoriale saudita-italiano, ha dichiarato che l’Italia è il partner naturale per accompagnare il Regno nel percorso della Vision 2030. Un messaggio che arriva mentre, nello Yemen, gli Stati Uniti intensificano i bombardamenti contro i ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran e in guerra dal 2015 contro la coalizione guidata proprio dall’Arabia Saudita. Un conflitto in cui, secondo le Nazioni Unite, è in corso la peggiore catastrofe umanitaria del pianeta.
Le armi italiane e l’ombra della legge 185/90
Eppure l’Italia non solo partecipa al rilancio delle relazioni economiche con Riad, ma torna a vendere armi alla monarchia saudita. La sospensione delle forniture di bombe e missili decisa nel 2021 è stata superata dal governo Meloni, che oggi lavora per modificare la legge 185/90, riducendo la trasparenza su destinazioni e tipologie di armamenti esportati. Una riforma che, secondo le organizzazioni per i diritti umani, rischia di rendere invisibili forniture verso Paesi come l’Arabia Saudita, accusata di crimini di guerra in Yemen. Le bombe italiane sono già state ritrovate sui luoghi dei bombardamenti sauditi. E la firma di un partenariato strategico con Riad, che include anche la cooperazione nel settore della difesa, rende evidente che le forniture militari non sono solo riprese, ma che il governo punta a rafforzarle.
Il boom economico che giustifica tutto
La diplomazia armata si muove insieme a quella commerciale. Nel 2024 le esportazioni italiane verso l’Arabia Saudita hanno raggiunto 6,2 miliardi di euro, con un balzo del 27,9%. Un boom che non è casuale: il “Sistema Italia” è mobilitato per sostenere le imprese italiane nella corsa agli investimenti sauditi. I settori sono quelli trainati dalla Vision 2030: energia, infrastrutture, difesa, manifattura avanzata. La retorica ufficiale insiste su partnership “strategiche e sostenibili”, ma il quadro etico resta invariato: a beneficiare della corsa agli affari è un regime che reprime il dissenso, condanna attivisti per un tweet, applica la pena di morte su larga scala e guida una guerra che ha devastato lo Yemen.
Meloni ha stretto la mano a Mohammed bin Salman, lo stesso principe ereditario saudita, accusato di aver ordinato, secondo l’Onu, l’assassinio di Jamal Khashoggi. Ha stretto accordi culturali con il Regno, affidando alla Triennale di Milano e al Parco Archeologico di Pompei la cooperazione in progetti museali e archeologici, mentre intanto si formalizzano contratti miliardari nell’energia e nella difesa. Un abbraccio che la stessa Meloni aveva condannato, quando accusava Renzi di vendersi ai sauditi per tenere conferenze. Ora la coerenza è sacrificata all’altare della geopolitica.
L’Italia, oggi, rafforza la sua posizione nel Golfo nonostante i moniti delle organizzazioni per i diritti umani. La politica estera del governo Meloni ha abbandonato ogni prudenza, scegliendo di affidarsi al pragmatismo. Un pragmatismo che tiene insieme i forum economici a Milano, le bombe che cadono su Sana’a e gli abbracci istituzionali ad Al-Ula.