Drone-spia russo sul Centro Ispra, i pm indagano su nuovi sorvoli

Oltre ai sei sorvoli certificati, gli inquirenti stanno cercando di scoprire tracce di passaggi precedenti. Le ipotesi investigative

Drone-spia russo sul Centro Ispra, i pm indagano su nuovi sorvoli

Una serie – molto numerosa – di sorvoli da parte di possibili droni russi sopra la sede del Centro di ricerca comune della Commissione europea (Jrc) a Ispra (Varese) sul lago Maggiore e su alcuni stabilimenti di Leonardo, l’azienda industriale della Difesa nazionale. È l’ipotesi sulla quale stanno investigando i Carabinieri del Ros, coordinati dal procuratore di Milano Marcello Viola, dall’aggiunto del pool antiterrorismo Eugenio Fusco e dal pm Alessandro Gobbis.

Si indaga per spionaggio politico o militare

Il fascicolo – per ora contro ignoti – è stato aperto nei giorni scorsi con l’ipotesi di “spionaggio politico o militare”, aggravato dalla finalità di terrorismo con “grave danno” all’Italia, dopo la denuncia dei responsabili della sicurezza del centro, basata sui dati delle frequenze rilevate da un captatore. Il captatore, e l’annesso software, avrebbero infatti registrato basse frequenze compatibili con un drone di fabbricazione russa, sebbene in linea teorica potrebbero essere riconducibili anche ad altro apparecchio di diversa produzione, sconosciuto a quel software.

Almeno sei i passaggi del drone sull’area interdetta

In tutto sarebbero stati sei i passaggi accertati sull’area no fly in cinque giorni, ma per gli inquirenti potrebbero essere molti di più. L’ipotesi degli investigatori è che il presunto drone di Mosca, segnalato dalla security interna del JRC, possa essere decollato da una delle numerose piste di atterraggio presenti nella zona del Lago Maggiore e in genere utilizzate per testare i prototipi.

Chiesti i tracciati ad Enav e aeronautica

Il modello associato dal software interno del captatore sarebbe quello di un drone lungo mezzo metro e che viaggia ad altitudini comprese tra i 150-200 metri. Per questa ragione gli inquirenti hanno richiesto i tracciati all’Enav e all’Aeronautica militare (in grado si individuare anche sorvoli a bassa quota), per avere riscontri innanzitutto su quei sei passaggi, poi su possibili sorvoli al momento non rilevati dal software.

A caccia di “filo-russi”

La certezza è che i droni sarebbero stati telecomandati da una distanza non superiore a qualche decina di chilometri dal Centro di ricerca. Per questo le indagini mirano a verificare anche l’eventuale presenza in zona di persone con idee filorusse, manifestate anche in contesti o incontri pubblici. Si sospetta infatti che possa essere stato azionato da qualche italiano simpatizzante filo-russo, come nel caso dei due imprenditori indagati l’anno scorso per aver raccolto e venduto informazioni sensibili ai servizi segreti di Mosca, o da qualche cittadino collegato alla Federazione, residente nell’area che, per tradizione, turismo e rapporti d’affari, è una delle enclave russe in Italia.

Crosetto crede alla minaccia

Intanto, oltre alle verifiche tecniche sul software del captatore del Jrc, sui tracciati e su eventuali immagini di videosorveglianza, gli investigatori in questi giorni stanno continuando ad ascoltare i testimoni, come ricercatori e responsabili della sicurezza del centro. La minaccia era stata presa con molta serietà dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, che aveva postato su Twitter: “È in corso una guerra ibrida. Pericolosa quanto sotterranea, costante e asfissiante quanto quotidiana”.

La commissione Ue smentisce

Lunedì però il portavoce della Commissione europea Thomas Regnier aveva smentito l’intrusione: “Non abbiamo osservato alcuna violazione da parte di droni della no-fly zone sopra il sito Ispra della Commissione, né siamo a conoscenza di alcuna specifica minaccia alla sicurezza correlata”, aveva infatti dichiarato.

Ma perché farsi scoprire?

Gli investigatori si domandano inoltre, perché, nel caso si tratti di davvero di presunta attività di spionaggio, si sia lasciata una sorta di “targa” russa, utilizzando proprio quel drone e non uno di produzione europea. Una delle ipotesi sul tavolo è che l’obiettivo potesse essere proprio quello di farsi individuare, per lanciare un segnale sulla capacità di violare con facilità uno spazio aereo interdetto.