Di Monica Tagliapietra
L’Italia perde terreno perchè nessuno ha più fiducia nel Paese. A cominciare dagli investitori privati, che non mettono mano al portafoglio. “Uno dei componenti del basso Pil italiano è il basso livello degli investimenti privati”, ha detto ieri Mario Draghi, scaricando tutto il peso della crisi suul nostro governo e, ovviamente, facendo finta di niente a proposito del fallimento assoluto delle politiche monetarie della Banca centrale europea imposte da Berlino. Il crollo del Pil italiano, ha detto, è dovuto “all’incertezza sulle riforme, un freno molto potente che scoraggia gli investimenti”. E con questo alibi Draghi ha osato come non aveva fatto mai: “Per i Paesi dell’Eurozona è arrivato il momento di cedere sovranità all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali”. insomma, si siamo tolti di mezzo a caro prezzo regnanti, despoti e oppressori per diventare sudditi della Bce. Una follia!
Sfiducia nelle democrazie
Per Draghi i Paesi dell’Eurozona non sono in grado di riformarsi da soli. Meglio allora che intervenga direttamente l’Europa da Bruxelles. D’altra parte il numero uno della Bce chiede da mesi di intensificare le riforme strutturali e “non disfare i progressi fatti nel consolidamento di bilancio”, con misure favorevoli alla crescita. Lapalissiano, Così come è certo che il percorso delle riforme in Italia è ancora lento. Ma è un percorso iniziato e in pieno svolgimento. Dunque l’attacco a freddo è quantomeno sconclusionato. Per avvalorare questa tesi Draghi però si è dilungato ieri nel lodare i Paesi che hanno fatto programmi convincenti di riforma strutturale. “paesio – ha detto – che stanno andando meglio, molto meglio di quelli che non lo hanno fatto o lo hanno fatto in maniera insufficiente”.
All’Europa serve una Fed
Ma se mai si cedesse questa sovranità, che cosa ne farebbe l’Europa e le sue istituzioni, come la Bce? A guardare bene, farebbero molto poco, esattamente come sta facendo al Banca centrale, da anni prodiga in annunci di immissioni di liquidità o avvio di misure straordinarie ma poi alla prova dei fatti capace di muoversi solo a piccoli passi. Accumulando responsabilità immense nel tracollo economico di molti Stati dell’Unione. Così anche ieri si è lasciato tutto fermo: il tasso principale dell’Ruro resta allo 0,15%, quello sui prestiti marginali allo 0,40% e quello sui depositi in negativo a -0,10%. Un livello dal quale non si scosteranno a lungo: “Resteranno bassi per un prolungato periodo di tempo”, ha detto il presidente della Bce, senza citare possibili ulteriori ribassi. Come a dire questo è il livello minimo. Ma il fatto che il costo del denaro sia destinato a non scendere ulteriormente non impedisce certo alla Bce di ricorrere ad altri strumenti per far fronte alla crisi. Strumenti che però non si vedono. “Il consiglio della Bce è unanimemente determinato a usare anche misure non convenzionali se fosse necessario. Gli interventi riporteranno l’inflazione verso l’obiettivo del 2%” ha detto Draghi per la milionesima volta sottolineando come la ripresa sia moderata e disomogenea e le aspettative di inflazione siano calate solo nel breve periodo.
Risultati scarsi
Quali possono essere questi strumenti straordinari? “Abbiamo intensificato il lavoro preparatorio per l’acquisto sui mercati degli asset-backed securities (Abs) per rafforzare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria – ha detto Draghi – e se la situazione peggiorasse potrebbe procedere all’acquisto di bond sul mercato a larga scala”. Può bastare? Certo che no. E certo che c’è una distanza siderale tra queste misure straordinarie da due soldi e quello che invece hanno fatto le banche centrali di Stati Uniti e Giappone, riempendo di denaro le tasche di famiglie e imprese, riuscendo così a far ripartire i consumi, il lavoro e l’economia. Esattamente quello che non fa la Bce. Con i ruisultati che sappiamo.