A questo punto non si sa più come definire l’atteggiamento di Mario Draghi sul Superbonus. Nei fatti lo rafforza, a parole lo demolisce. La misura bandiera del M5S, che secondo analisi e studi ha fatto da volano all’edilizia, all’efficientamento energetico e ha trainato la ripresa in generale nel 2021, è stata più volte attaccata da Draghi.
A febbraio il premier disse che a difenderla sono quanti hanno scritto una legge per fare lavori senza controlli. L’altro ieri a Strasburgo l’ex banchiere ha scatenato nuovamente l’ira dei pentastellati sostenendo al Parlamento europeo che benché “il nostro Governo faccia del clima e della transizione i suoi pilastri più importanti, non siamo d’accordo su tutto, sul bonus del 110% non lo siamo” dal momento che farebbe, a suo dire, triplicare i costi degli interventi. Parole appunto smentite dai fatti.
Proprio i Migliori ieri erano chiamati a limare il decreto Aiuti da 14 miliardi arrivato a Palazzo Chigi lunedì scorso. Uno degli aggiustamenti da apportare riguardava proprio il Superbonus. Ebbene, a dispetto dei suoi attacchi, Draghi, nel corso del Consiglio dei ministri – assecondando le richieste di operatori del settore, analisti e soprattutto del M5S di Giuseppe Conte – ha agevolato la cessione dei crediti, quel meccanismo che si era inceppato per i paletti via via introdotti in chiave anti-abusi.
Ovvero per la decisione di bloccare le cessioni multiple dei crediti fiscali incamerati dalle banche. Una decisione che aveva portato alla progressiva chiusura dei rubinetti da parte degli istituti di credito, e poi di Poste e Cdp, che avendo acquisito già troppi crediti non accettavano nuove richieste.
Le banche, nella nuova versione stabilita ieri, ora potranno superare il limite numerico di cessioni fissato dalle varie strette, purché il credito venga venduto a clienti professionali che hanno un conto presso la banca stessa, oppure venga passato all’istituto capogruppo. Senza considerare che già nel dl Aiuti affrontato lunedì trovava spazio la proroga al 30 settembre del termine per raggiungere il 30% di lavori nelle villette unifamiliari ed avere accesso al maxi-incentivo.
Cambiano poi altre misure chiave. Tra aiuti per il caro materiali e interventi sul settore trasporti il ministero delle Infrastrutture calcola un intervento che sfiora i 10 miliardi. Ci sono poi i fondi per le imprese danneggiate dalla guerra che salgono a 150 milioni complessivi, perché ai 130 del ministero dello Sviluppo economico si aggiunge un fondo da 20 milioni per le imprese agricole istituito presso il ministero delle Politiche agricole.
L’“indennità una tantum” da 200 euro, misura pensata per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, arriverà con la busta paga di luglio. La riceveranno lavoratori dipendenti, pensionati e disoccupati con redditi fino a 35mila euro, ma grazie alla spinta dei ministri 5Stelle e del dem Andrea Orlando arriverà anche ai percettori del reddito di cittadinanza, agli stagionali e a colf, esclusi dalla prima versione del decreto. Anche i lavoratori autonomi avranno il bonus, ma sono da definire i termini.
Per incentivare l’uso dei mezzi pubblici e mitigare gli effetti del caro energia, il decreto istituisce poi un buono per studenti e lavoratori – con reddito sotto i 35mila euro – che viaggiano sui mezzi pubblici locali, regionali, interregionali e sui treni. Il buono copre fino al 100% della spesa per gli abbonamenti e comunque non può superare i 60 euro. Sarà utilizzabile fino a dicembre.
Il decreto prevede anche ulteriori risorse a favore delle Regioni per assicurare fino al 30 giugno i servizi aggiuntivi di trasporto pubblico locale legati alle esigenze delle scuole, che a causa dell’emergenza sanitaria hanno previsto orari scaglionati per l’inizio delle lezioni fino alla fine dell’anno scolastico in corso. Infine si aggiunge il sostegno alle aziende agricole che devono far fronte ai danni economici causati dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni contro la Russia. Viene istituito un fondo da 20 milioni di euro presso il ministero delle Politiche agricole, che erogherà contributi a fondo perduto alle imprese piccole e medie che hanno subito un calo del fatturato.
Addirittura si ipotizzava la possibilità che potesse forzare la mano andando al muro contro muro, ovvero mandando in Aula il testo senza mandato al relatore, e invece Mario Draghi ha deciso alla fine di assecondare le richieste di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
Sulla riforma fiscale Draghi alla fine ha deciso di assecondare le richieste di Salvini e Berlusconi
Sulla riforma fiscale Palazzo Chigi – stando a quanto riferiscono Salvini e Berlusconi (dopo che il primo ieri ha incontrato Draghi) – fa dietrofront su tutta la linea. Lega e Forza Italia non intendevano avallare la rivoluzione sulle rendite catastali delle abitazioni che, con la nuova legge, sarebbero state adeguate ai valori di mercato dal 2026
Visto che su quelle si calcolano le tasse sugli immobili (come l’Imu o la Tari) per Lega e FI sarebbe stata l’anticamera per l’aumento delle imposte, ovvero una patrimoniale mascherata. Allo stesso modo le destre facevano resistenza contro il sistema duale. L’idea originaria del Governo era dividere il fisco in due grandi capitoli: da un lato le imposte sui redditi da lavoro e pensione e dall’altro tutto il resto, da sottoporre ad aliquote proporzionali.
Nel duale anzi l’aliquota sarebbe stata una sola, prevedendone due solo in via transitoria. Questo significava che, argomentava la Lega, a meno di non portare il prelievo al 10% per tutti, resterebbe inalterata la tassazione solo sulle rendite finanziarie (oggi al 26%), mentre salirebbero quelle sulle locazioni convenzionate (oggi tassate al 10%), sui titoli di stato (oggi tassati al 12,5%) o le cedolari sugli affitti (oggi tassate al 21%).
Ebbene il centrodestra di Governo annuncia in una nota “con grande soddisfazione” di aver “raggiunto un’intesa con Palazzo Chigi per rivedere gli articoli 2 e 6 della delega fiscale”. Nell’accordo, si spiega, viene eliminato ogni riferimento al sistema duale, preservando i regimi cedolari esistenti e garantendo un’armonizzazione del sistema fiscale.
Quanto al catasto viene eliminato ogni riferimento ai valori patrimoniali degli immobili, consentendo l’aggiornamento delle rendite secondo la normativa attualmente in vigore e senza alcuna innovazione di carattere patrimoniale. Il catasto italiano verrà quindi progressivamente aggiornato, ma senza cambiamenti rispetto ai criteri attuali.
Quanto basta per far cantare vittoria a Berlusconi: “Non ci saranno nuove tasse sulla casa e sui risparmi degli italiani: battaglia lunga e dura, ma vinta!”. Gongola anche Salvini che oltre a vedere Draghi ieri ha avuto un lungo incontro con il governatore della Bankitalia, Ignazio Visco. Già in mattinata il leader leghista aveva dichiarato: “La patrimoniale su casa e risparmi pare sventata”.
“Se si è trovata una soluzione, è una buona notizia”, dice la leader di FdI, Giorgia Meloni. Il Pd non fa una piega: “Tutto è bene quel che finisce bene”, commenta Enrico Letta accusando Salvini di fare propaganda e che gli aumenti di tasse non c’erano anche prima. “Ci fanno sorridere queste dichiarazioni di vittoria da parte di Lega e Forza Italia. Già di fatto il testo della delega escludeva qualunque tipo di ripercussione sull’imposizione patrimoniale”, dichiara la M5S Vita Martinciglio a La Notizia.
“L’accordo ottenuto dal centrodestra cambia perfino il testo già votato dal centrosinistra in Commissione. Per Letta è una Caporetto”, dice il leghista Alberto Bagnai. L’articolo sul catasto era finora l’unico approvato (l’8 marzo) in commissione Finanze, con la spaccatura della maggioranza. Per modificarlo, servirà l’unanimità in commissione o un emendamento approvato in Aula.
Nel frattempo l’accordo fra centrodestra e Palazzo Chigi dovrà entrare in un’intesa politica di maggioranza. Solo a quel punto il presidente Luigi Marattin (Iv) convocherà la commissione per concludere l’esame e portare il testo in Aula.