Mario Draghi è in fuga verso il Quirinale, lasciando in sospeso tutti i dossier avviati ma non ancora conclusi. A cominciare dalla montagna di decreti attuativi necessari a rendere esecutiva la Legge di Bilancio, fresca di approvazione. Il corposo provvedimento richiede, per scelta di Palazzo Chigi, una serie di norme da emanare per dare seguito alle cornici previste dalla manovra, la prima – e forse anche l’ultima – dei cosiddetti Migliori.
Senza dimenticare poi l’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per cui bisogna raggiungere oltre cento obiettivi entro la fine del 2022. Altrimenti addio fondi europei. Così, incurante delle scadenze imminenti, Draghi vuole soddisfare gli appetiti personali. Non è più un segreto che voglia raccogliere l’eredità di Sergio Mattarella.
Un capitolo significativo riguarda la Legge di Bilancio, licenziata a fine dicembre con tanto di umiliazione della Camera che ha visto passare il testo senza alcuna possibilità di discussione. Nel provvedimento, Draghi ha fatto un ampio ricorso al “rinvio”, ossia allo strumento dei decreti attuativi. In sostanza le norme sono state solo abbozzate, seppur presenti nella manovra. Ma per l’esecutività occorrono appositi provvedimenti ministeriali.
In totale il governo in carica ha previsto 153 decreti (di cui 5 celermente predisposti), un record assoluto nella legislatura in materia di Legge di Bilancio. La traduzione è semplice: in caso di cambio del governo, e ancora di più di elezioni anticipate, ci sarà una pesante eredità da raccogliere.
L’ITALIA PUO’ ATTENDERE. Così molti provvedimenti, dal valore di miliardi di euro, finiranno in stand-by. Tra questi ci sono la “ripartizione delle somme per il potenziamento dell’assistenza territoriale sanitaria”, che ammonta a circa due miliardi di euro fino al 2026, e le modalità di impiego del fondo per il clima, che ha una dotazione di oltre 800 milioni di euro. Sono solo due esempi del complesso di misure da realizzare e che rischiano di essere stoppate per l’assenza di un governo nella pienezza delle proprie funzioni.
La causa? Il trasloco di Draghi al Quirinale. È evidente inoltre la differenza con chi lo ha preceduto a Palazzo Chigi. I governi guidati da Giuseppe Conte non erano mai arrivati a tanto. Nel 2020, infatti, il Conte bis ne aveva previsti 140 decreti attuativi e sembrava una cifra consistente. L’anno precedente il dato era di 112, mentre il governo gialloverde addirittura era sotto la soglia dei 100, attestandosi a 98. Insomma, Palazzo Chigi sotto l’egida dell’ex presidente del Consiglio si era assunto la responsabilità delle norme, senza demandarla ai ministri. A differenza di Draghi.
PNRR ADDIO. Un altro capitolo importante è quello del Pnrr, uno dei motivi per cui è stato convocato da Mattarella l’attuale premier. A fine dicembre l’ex presidente della Bce si è vantato di aver raggiunto i 51 obiettivi fissati dall’Unione europea per sbloccare i finanziamenti, che arrivano solo dopo la valutazione di Bruxelles. Ma nel 2022 il compito è ancora più impegnativo. Ci sono da rispettare in totale 102 target, tra cui riforme epocali come quella sulla carriera degli insegnanti, attesa entro la fine di giugno, così come la delega per la riforma del codice degli appalti pubblici. In ballo c’è la seconda tranche (24 miliardi di euro), erogate su base semestrale, del Piano. Così come altri 21 sono attesi per la fine dell’anno, a patto che l’Italia rispetti il cronoprogramma. Che rischia la battuta d’arresto, causa fuga per il Colle di Draghi.