Carlo Bonomi vive in una sua dimensione parallela, uno dei quegli universi che coesisterebbero con il nostro, ma in cui le vicende sono diverse. In questo universo distopico lui pensa di essere il ministro del Lavoro e non il Presidente di Confindustria. Ed eccolo lì che si raffigura nel sogno a distruggere quel che resta del già distrutto stato sociale.
Bonomi ordina, Draghi esegue. Il ministro ombra di Supermario
Ed allora il fantaministro si immagina a dare libertà di licenziamento immediato, totale e definitivo. Immagina che i capi sindacali gli sventolino le foglie di palma nei caldi giorni d’estate, mentre lui, il faraone di Crema, gongola pacioso suonando l’arpa mentre l’odiata Roma governativa brucia. Deve essersi sentito così, diciamo strano, il presidente di Confindustria quando è partito di intervista a La Stampa di ieri.
Ricordiamo i fatti. Venerdì scorso, all’ultimo consiglio dei Ministri, Andrea Orlando che occupa il dicastero del Lavoro presenta la proposta di far slittare la fine del blocco dei licenziamenti al 28 agosto. Secondo Bonomi che queste cose le sa, Draghi non sarebbe stato d’accordo per questa birichinata ministeriale e il premier avrebbe espresso il suo disappunto per l’intemerata non concordata del suo ministro. Sabato, Bonomi lo passa di cattivo umore. È agitato. I primi caldi lo straniano ulteriormente, suda, alcune zanzare irriguardose lo mordicchiano impietose.
Qualche gocciolina malvagia di sudore gli cola sugli occhi ed è lì che deve aver perso il controllo. Ratto e lesto chiama il suo giornale giallo, Il Sole 24 Ore, è dà l’ordine di sparare ad alzo zero e così la domenica mattina, mentre i buoni cristiani vanno a messa e gli altri al mare, si legge in prima a caratteri cubitali: “Licenziamenti, l’inganno di Orlando”. È il segnale che i confindustriali attendevano. “O capitano! Mio capitano!”, scriveva il poeta americano. Tutti intorno al Re di via dell’Astronomia, pronti all’assalto contro i cattivoni, quelli che hanno letto da giovani quel libraccio scritto da un filosofo ebreo con la barbaccia incolta, che, ironia della sorte, si chiamava proprio come il duce astronomo.
La Confindustria riesce a fare e disfare sui licenziamenti
E da allora i mugugni e le lamentele dei ricchi industriali hanno scadenzato le agenzie. Ieri si leggevano proclami guerreschi rivolti alle armate di produttori di bulloni, merendine, salse e pelati, pizze e verdure, macchine e carrarmati: “Licenziamenti, intese tradite, così non si fanno le riforme” e poi, “Licenziamenti, calpestate le intese”. Insomma il popolo dei produttori in arme assediava Palazzo Chigi peggio di un esercito di sciamani no vax incazzati contro il povero Speranza. E a questo punto, Draghi che è uomo liberale, uomo di dollaro e sterlina che fu prima uomo di marco si fa due conti, valuta e soppesa le scelte e le conseguenze e poi agisce cercando di mediare.
Il blocco dei licenziamenti rimane, ma vale solo per chi utilizzerà da primo di luglio la Cassa integrazione ordinaria però poi le aziende potranno non versare le addizionali sulla Cig fino al 31 dicembre. Ma non basta. Draghi, che fu uomo di euro e marco, promette ancor di più e promette a via dell’Astronomia che a brevissimo rivedrà anche gli ammortizzatori sociali. Il Partito democratico però non ci sta e difende il suo ministro e lo fa come ai vecchi tempi, quelli del Partito comunista e lo fa con una sorta di centralismo democratico che picchia duro e Letta difende a spada tratta il suo ministro, cose che non si vedevano dai tempi della falce e martello, prima che quello stesso partito abolisse, grazie alla Quinta Colonna Matteo Renzi il baluardo stesso dei lavoratori e cioè l’articolo 18.
Nel contempo Maurizio Landini, capo della Cgil, attacca direttamente: “Licenziamenti, la partita non è chiusa”. E ancora: “Il governo ha ascoltato un po’ troppo Confindustria “ e “i problemi non si risolvono con la libertà di licenziare”. Mario Draghi capisce improvvisamente che è più facile manovrare con euro e dollari che con questi scalmanati della politica e si ricorda degli insegnamenti dei buoni frati gesuiti dell’Istituto Massimo di Roma, che frequentò da giovinetto e se ne esce democristianamente con una “mediazione in cui spero si ritrovino tutti”.
Ecco, ci mancava il generale Francesco Paolo Figliuolo, che ha un cognome così ecclesiastico, e il quadro sarebbe piaciuto anche a Papa Francesco che dal Vaticano se la ride con questi mattacchioni di italiani che sono capaci di superare pure gli argentini, che di golpe se ne intendono. Ma dopo tutto il Papa perdonerà visto che il “golpe” invocato da Bonomi e attuato – a suo dire – da Orlando è a fin di bene