Draghi a fine corsa. Finisce con i Cinque Stelle che “tolgono il disturbo”, parola della capogruppo al Senato, Mariolina Castellone. Per la cronaca “condivisa” pure dal suo omologo Davide Crippa alla Camera, che allontana così anche lo spettro di una nuova scissione pentastellata semmai si arrivasse al dibattito sulla fiducia anche alla Camera.
Ma non è tutto. Perché nella lista del non voto, si uniscono anche Forza Italia e Lega, ma per ben altri motivi.
Draghi a fine corsa
Se i Cinque Stelle hanno infatti addebitato al premier la mancata risposta alle loro 9 richieste, ritenendo del tutto insufficienti se non addirittura un affronto gli scarni passaggi del suo intervento di questa mattina su Reddito di cittadinanza, Salario minimo e Superbonus – tacendo lo schiaffo sulla corsa ad armare fino ai denti l’Ucraina che il premier ha continuato di voler proseguire senza se e senza ma – le ragioni del centrodestra sono di tutt’altra natura.
Se pure loro, ad onor del vero, hanno dovuto fare i conti con la reprimenda di Draghi sulle barricate alzate proprio da Lega e Forza Italia sui provvedimenti della Concorrenza (leggasi difesa delle concessioni balneari) e del Fisco (la battaglia contro la riforma del catasto), il vero tema sollevato da Salvini e Berlusconi si riduce alle poltrone.
Nuovo governo o voto
Il veto sulla permanenza nella maggioranza del Movimento 5 Stelle implicherebbe del resto almeno un corposo rimpasto se non addirittura la formazione di un nuovo Governo.
Con il Carroccio che, dopo aver chiesto la testa di Roberto Speranza e Luciana Lamorgese, punta neanche tanto velatamente ai ministeri della Sanità (da cui ammiccare alla galassia No Vax e No Green Pass) e degli Interni (e via con il vecchio cavallo di battaglia dell’Italia invasa dai migranti).
Due pedine strategiche da muovere sulla scacchiera di una campagna elettorale di fatto già iniziata.
L’harakiri di Draghi
Morale della favola: Mario Draghi al capolinea. Caduto sotto il peso delle sue incaute mosse.
Dalle dimissioni rassegnate e respinte (nonostante una fiducia bulgara del 70% a prescindere dai 5 Stelle) all’incauto discorso di questa mattina con il quale, sfidando il Parlamento con toni a tratti arroganti, ha chiesto di fatto quei pieni poteri rivendicati, ironia della sorte, nell’estate del Papeete da Matteo Salvini. Che non si è fatto sfuggire l’occasione per negargli l’harakiri.