Non bastano gli allarmi della Bce né quelli dell’Istat. Per il governo italiano ai dazi di Donald Trump si deve rispondere con cautela. Nessuno scontro, ma solo prudenza e dialogo. Insomma, se l’obiettivo degli Stati Uniti è distruggere l’economia europea, ben venga. Pur di non indispettire il nuovo alleato delle destre sovraniste, l’esecutivo continua a ignorare ogni allarme. E mentre Bruxelles si prepara allo scontro, Roma chiede di evitarlo.
L’allarme della Bce sui dazi: crescita giù dello 0,3%
Eppure c’è molto di cui preoccuparsi, come dimostra l’analisi della Bce presentata in commissione Economia all’Europarlamento dalla presidente Christine Lagarde: “L’analisi della Bce suggerisce che una tariffa statunitense del 25% sulle importazioni dall’Europa ridurrebbe la crescita dell’area dell’euro di circa 0,3 punti percentuali nel primo anno”. E una risposta europea “aumenterebbe ulteriormente questa percentuale a circa mezzo punto”. I rischi ci sono, con un impatto maggiore nel primo anno e che poi “diminuirebbe nel tempo”.
Lagarde prova a offrire qualche soluzione: “Una maggiore integrazione con il resto del mondo potrebbe più che compensare le perdite subite dalle tariffe unilaterali, comprese le ritorsioni”. E “in un simile scenario, solo i paesi che adottano politiche isolazioniste rischiano di perderci”. L’altra soluzione, poi, è aumentare gli scambi commerciali tra gli Stati membri. L’Ue, intanto, si prepara alla guerra, ribadendo che il 2 aprile gli Usa vogliono far partire le nuove tariffe. Solo allora, spiega in audizione all’Europarlamento il commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, potranno partire eventuali negoziati. Ma intanto la Commissione ha deciso di far partire a “metà aprile” le contromisure ai dazi Usa su acciaio e alluminio.
A casa nostra
Ma l’Italia continua a frenare. Il vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani, chiede di evitare escalation, mentre il ministro Adolfo Urso ritiene che la Commissione dovrebbe “essere cauta e responsabile per evitare che si inneschi una guerra commerciale”. Tuttavia anche l’Istat sottolinea i rischi per l’Italia. Con 23mila imprese molto vulnerabili alle tariffe sull’export: parliamo dello 0,5% del totale, che però impiegano 415mila addetti (il 2,3%) e generano il 3,5% del valore aggiunto e il 16,5% dell’export. Le imprese più vulnerabili sono quelle del settore di “altre attività manifatturiere (31%), dei mezzi di trasporto (28,7%) ma anche degli articoli in pelle e degli autoveicoli. Ancora, l’Italia è più vulnerabile sulle forniture dall’estero rispetto a Germania, Cina e Stati Uniti. Insomma, se tutto va bene siamo rovinati.