Prima la bocciatura del referendum sull’eutanasia legale (leggi l’articolo), 24 ore pure quella sulla depenalizzazione della cannabis (leggi l’articolo). Sono queste le due decisioni che stanno scatenando l’ira di quasi due milioni di italiani che – complessivamente – hanno sottoscritto i relativi referendum nella speranza di poter far uscire l’Italia dal Medioevo in cui versa per adeguarla alle normative che già esistono in mezzo mondo.
Peccato che a deluderli ci ha pensato la Corte Costituzionale che ha giudicato inammissibili i rispettivi quesiti in quanto, riassumendo, quello sull’eutanasia non è sull’eutanasia ma su un reato collegato e quello sulla cannabis non è sulla cannabis ma sulle sostanze stupefacenti in generale. A spiegare le ragioni del No è stato il presidente della Consulta (leggi l’articolo), Giuliano Amato, che in relazione al fine vita ha affermato che il quesito in realtà non era sull’eutanasia legale ma “sull’omicidio del consenziente”.
Per questo i giudici hanno ritenuto che cancellandolo sarebbe stato “lecito in casi più numerosi di quelli” della materia oggetto del referendum. Non molto diverso il motivo che ha portato alla bocciatura del quesito sulla depenalizzazione della Cannabis. Anche in questo caso la Corte ha dichiarato l’inammissibilità per quello che viene definito un errore nella formulazione del quesito tanto che Amato, in conferenza stampa, ha spiegato che “io lo chiamo referendum sulle sostanze stupefacenti, perché con questo quesito scompare il divieto di coltivazione delle droghe pesanti e già questo è sufficiente a farci violare obblighi internazionali”. Una spiegazione che non ha convinto un cronista che ha fatto notare come questa valutazione sugli obblighi internazionali è stata fatta per la cannabis mentre non è stato fatto altrettanto sulla Legge Severino.
Quel che è certo è che per Amato il problema è che “il nostro Parlamento sarà troppo occupato dalle questioni economiche ma forse non dedica abbastanza tempo a cercare di trovare la soluzione su questi temi valoriali”. Una disattenzione che, infatti, ha spinto tanti cittadini a dedicare il proprio tempo per raccogliere le firme – tra l’altro scontrandosi con lungaggini e impedimenti che sono stati disseminati sulla strada dei due referendum popolari – e proporre i quesiti che la politica non ha mai voluto affrontare.
“La Corte costituzionale presieduta da Giuliano Amato ha completato il lavoro di eliminazione dei referendum popolari. Dopo eutanasia anche Cannabis. Hanno così assestato un ulteriore micidiale colpo alle istituzioni e alla democrazia”, scrive su twitter Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. Una battaglia civile che vedrà impegnato M5S con la deputata Caterina Licatini, prima firmataria della proposta di legge sulla legalizzazione della coltivazione domestica della cannabis, che spiega che il Movimento lavorerà “in Parlamento per l’approvazione di una legge attesa da tempo e in grado di interpretare la volontà popolare”.