Il colpo di teatro, in perfetta linea di continuità con Silvio Berlusconi, sarebbe di natura fiscali. Il problema di fronte al quale si trova Matteo Renzi è tanto semplice quanto enorme: come recuperare la batosta subita alle comunali, in particolare in vista della sfida decisiva del referendum sulla riforma costituzionale? Al momento l’idea più accreditata sembra essere quella di una grande piano di riduzione fiscale. Qualcosa di più massiccio rispetto ai precedenti degli 80 euro o dell’abolizione della Tasi sulla prima casa. Insomma, il presidente del consiglio starebbe valutando una sorta di scommessa disperata, con tutte le incognite che ne derivano dal punto di vista della sostenibilità finanziaria. Tre sono le idee con le quali secondo palazzo Chigi si potrebbero recuperare i voti degli italiani: l’abolizione del bollo auto, la diminuzione del peso di alcuni scaglioni Irpef e la cancellazione di Equitalia, la società di riscossione ancora avvertita dai contribuienti come una sorta di spauracchio.
IL PIANO
Si tratta di tre ipotesi appetibili, non c’è dubbio. Ma dove trovare i soldi per sostenerle? L’abolizione del bollo auto, per esempio, costerebbe circa 6 miliardi l’anno. Che in parte potrebbero essere recuperati aumentando le accise sulla benzina, il solito bancomat usato nei momenti di acqua alla gola. Sarebbe davvero conveniente? Quanto agli attuali 5 scaglioni Irpef l’incognita è anche più grande. Quali diminuire? E in quale misura? Di alleggerimento dell’imposizione personale Renzi aveva già parlato l’anno scorso, quando promise un taglio delle tasse da 35 miliardi fino al 2018 così articolato: nel 2016 la cancellazione della Tasi (5 miliardi), nel 2017 un taglio del combinato disposto Ires-Irap (costo 10 miliardi) e nel 2018 l’alleggerimento degli scaglioni Irpef (costo altri 10 miliardi). Più che un programma una sparata, che per giunta adesso dovrebbe portare a un anticipo al 2017 del piano sull’Irpef. Anche perché il taglio della Tasi, concretizzatosi con la manovra dello scorso anno, non è stato in grado di conquistare il voto degli italiani nelle ultime comunali. Insomma, servirebbe uno choc fiscale più incisivo. E poi la “facile” promessa di cancellare Equitalia. Ma non si può trascurare, sulla scorta dei dati consegnati qualche tempo fa al Senato dall’Ad Ernesto Maria Ruffini, il fatto che nei 10 anni di vita sin qui accumulati Equitalia ha messo a segno una riscossione media annua di 7,7 miliardi di euro. Ed è qui che si pone un primo grande ostacolo allo smantellamento.
IL NODO
Se si decide questo passo, che legittimamente un Governo può voler compiere, si deve però comunicare in che modo potranno essere garantiti questi 7,7 miliardi di riscossione annua, magari facendo anche meglio. Ma le questioni non finiscono qui. E basta parlare con un qualsiasi funzionario di Equitalia per metterle a fuoco. Oggi la società di riscossione ha circa 8 mila dipendenti, gran parte dei quali ereditati dalle vecchie concessionarie. Ragion per cui tutti sono inquadrati con il contratto di lavoro del settore bancario, economicamente più vantaggioso del contratto del settore pubblico. Insomma, con i tempi che corrono non sarebbe molto facile gestire la patata bollente di 8 mila lavoratori a cui si prospettano condizioni economiche peggiori conseguenti all’inquadramento pubblico. Ancora, non può essere tralasciata la questione della fiscalità locale. Da anni Equitalia, sulla scorta di polemiche non sempre ben costruite e in parte appoggiata dal ministero dell’economia, prova a defilarsi dall’attività di riscossione dei tributi degli enti locali. Resta però il fatto che ancora oggi sono migliaia i municipi che si affidano a Equitalia per riscuotere le loro tasse.