Un governo forte con i deboli e debole con i forti. Prima nel mirino delle destre sono finiti i poveri, ai quali è stata tolta una rete di protezione sociale decisiva soprattutto durante la pandemia. Oggi si tenta il giro di vite sui disoccupati.
Alla base dell’intento punitivo e vessatorio del governo c’è sempre il solito furore ideologico verso i poveri e verso i fragili, come se la povertà e il non avere un lavoro fossero una colpa e uno stigma da punire.
Il tutto condito dalla convinzione che le persone più bisognose e indigenti siano dei divanisti, dei furbetti pronti a fregare lo Stato. Dopo dunque aver smantellato il Reddito di cittadinanza e aver eretto un muro contro la proposta delle opposizioni di introdurre un salario minimo legale, arriva la misura che colpisce i disoccupati.
La proposta nel dettaglio che priva di sussidio chi non ha un lavoro
Con un emendamento alla Manovra, all’esame della commissione Bilancio della Camera, i relatori hanno proposto di aggiungere una condizione per ottenere la Naspi.
Dal 1 gennaio 2025 i lavoratori che hanno dato dimissioni volontarie da un lavoro a tempo indeterminato nei 12 mesi precedenti avranno diritto alla Naspi in caso di licenziamento da un nuovo impiego solo se hanno almeno 13 settimane di contribuzione dal nuovo impiego, perso il quale si richiede l’indennità.
Secondo quanto viene spiegato, la modifica intende limitare il cosiddetto fenomeno dei “furbetti della Naspi”, ovvero dimissioni e rioccupazioni molto spesso di breve durata o intermittenti, per ottenere la Naspi o evitare alle aziende di pagare il ticket di licenziamento.
Ma la stretta finisce per colpire non solo i furbetti ma rende più difficile a tutti l’accesso alla misura.
La scusa della ministra Calderone: ha un funizione anti-elusiva
“L’intervento fatto” sulla Naspi “con la presentazione di un emendamento da parte dei relatori al disegno di legge di bilancio attiene alla situazione in cui vi è un’interruzione di un rapporto di lavoro a seguito di dimissioni volontarie del lavoratore e vi è l’instaurazione di un altro rapporto di lavoro di brevissima durata che si conclude con un licenziamento. Ha una finalità, almeno così l’hanno scritta i relatori, anti-elusiva”, ha rilanciato la ministra del Lavoro, Marina Calderone.
“Le parole usate dalla ministra Calderone per giustificare la vergognosa norma sulla Naspi presentata nottetempo come emendamento dei relatori alla legge di Bilancio, sono un’offesa alle lavoratrici e ai lavoratori di questo Paese. Quest’idea che tutti siano truffatori è ributtante, ancor di più visto il pedigree di ministri come Santanchè accusata di truffa all’Inps. La smettano con queste norme capestro a senso unico e si occupino di cose serie”, afferma in una nota la capogruppo del M5S in Commissione Lavoro alla Camera, Valentina Barzotti.
La norma sulla Naspi fa il paio con quella sulle dimissioni nel collegato Lavoro
La misura fa il paio con quella sulle dimissioni contenuta nel collegato Lavoro alla Manovra che ha avuto il via libera definitivo la scorsa settimana.
Nei casi in cui l’assenza ingiustificata del lavoratore vada oltre il termine previsto dal contratto o, dove non sia previsto, oltre i quindici giorni scatta la risoluzione del rapporto per volontà del lavoratore: cioè le dimissioni, non il licenziamento.
Quindi l’impresa non paga il ticket di licenziamento e l’ex lavoratore non accede all’indennità di disoccupazione (Naspi o Dis-coll). Anche su questo punto, le letture sono contrapposte.
Per la ministra Calderone si tratta di un intervento per chiarire la questione su quelle che tecnicamente si chiamano dimissioni per fatti concludenti. Per le opposizioni è un modo per aggirare il divieto delle dimissioni in bianco ed è “un ulteriore attacco ai diritti di donne e uomini, esponendoli a licenziamenti senza giusta causa”, sostiene il M5S.