Da una parte l’emergenza gas con Mosca che continua il braccio di ferro con l’Europa e dunque con l’Italia, dall’altra il caro energia con i prezzi dei carburanti che continuano a salire. E ora anche il problema enorme della siccità.
Gas e siccità, l’Italia appare stretta in una morsa ed è costretta a ricorrere a misure estreme
L’Italia appare stretta in una morsa ed è costretta a ricorrere a misure estreme. La situazione del fiume Po sotto di otto metri costringe nel piacentino Enel Green Power a spegnere temporaneamente le turbine della centrale idroelettrica di Isola Serafini di San Nazzaro (Monticelli).
La centrale funziona grazie all’acqua del Po che viene deviata dal suo corso e fatta confluire all’interno di turbine che, muovendo i loro meccanismi, producono energia elettrica. Se l’acqua è scarsa queste turbine non possono lavorare ed è quello che sta succedendo. Sul fronte del gas l’Italia non deve alzare il livello di allerta dall’attuale preallarme ad allarme. È il parere che ha dato il Comitato tecnico di emergenza sul gas del ministero della Transizione ecologica La decisione finale spetta ora al ministro, Roberto Cingolani. Che ora vedrà le società energetiche, Eni ed Enel in testa.
Quello che è emerso è che la situazione degli stoccaggi è buona (siamo al 55%). Nonostante il taglio della fornitura dalla Russia, rimane possibile arrivare al traguardo del 90% a fine anno. Un livello che permetterebbe di affrontare l’inverno con tranquillità, in attesa che dal prossimo anno arrivino le nuove forniture da Algeria, Azerbaijan e Africa. Di conseguenza, non è necessario oggi alzare il livello di allerta, da preallarme ad allarme. In quest’ultima situazione, il ministero potrebbe chiedere alla Snam di ridurre le forniture alle aziende energivore, attivando i contratti di contenimento volontario della domanda da parte dei clienti. Non ci sarebbero comunque tetti alle forniture e ai consumi. Questi scatterebbero solo al livello superiore, quello di emergenza.
Il Ctem ha anche stabilito di acquistare più carbone, per avere una scorta di combustibile in vista dell’embargo a quello russo ad agosto. Cingolani ha spiegato che non verranno riaperte le centrali a carbone chiuse. Quelle in funzione però continueranno a lavorare, risparmiando gas per la produzione elettrica e destinandolo agli stoccaggi. Una decisione in linea con quella di altri Paesi Ue. A Berlino è proprio il vicecancelliere verde Robert Habeck ad annunciare che si farà ricorso alle centrali a carbone E anche il governo austriaco ha annunciato la rimessa in funzione di una centrale a carbone.
Il taglio alle forniture di gas deciso da Putin ha chiaramente l’obiettivo di rallentare le scorte
Il taglio alle forniture deciso da Putin ha chiaramente l’obiettivo di rallentare le scorte: sia riducendo le quantità, sia facendo schizzare in alto il prezzo del gas. Cingolani ha spiegato che l’esecutivo pensa a garanzie pubbliche per gli operatori degli stoccaggi. Il prezzo del gas è schizzato 125 euro a megawattora, in crescita del 4% sul giorno precedente. Secondo il ministro, il governo emanerà a breve i bandi per aumentare la produzione di gas nazionale e il decreto Fer2 per gli incentivi alle rinnovabili più innovative. Poi continuerà a battersi in Europa per un tetto al prezzo del gas. Per le ong ambientaliste Legambiente, Greenpeace e Wwf, il governo sta sbagliando politica: “Il ministro comincia sempre dai fossili – scrivono in una nota -, fingendo di ignorare che la crisi climatica ne impone il progressivo abbandono, mentre occorre cominciare dalle fonti rinnovabili”.
Secondo le rilevazioni del Mite al 19 giugno, la media nazionale in modalità self della benzina ha raggiunto 2,063 euro al litro, in aumento di 5 centesimi rispetto alla settimana precedente. Il gasolio è salito a 2,006 euro al litro, con un rincaro di 7 centesimi. Una situazione a cui il governo è chiamato a far fronte. Oltre al rinnovo per un altro trimestre del taglio degli oneri di sistema in bolletta (forse già oggi in un Cdm), si lavora alla proroga del taglio delle accise sulla benzina in scadenza l’8 luglio. Tra le ipotesi, anche un possibile ‘sconto rafforzato’, superiore a quello attuale da 30 centesimi (compresa Iva). Se lo si portasse a 35 centesimi, servirebbero risorse per circa 1,2 miliardi al mese, a fronte del miliardo della misura attuale. Complessivamente al governo dovrebbero servire risorse per circa 4-6 miliardi.