Da quando è diventato ufficialmente il candidato repubblicano per la corsa alla Casa Bianca, Donald Trump non riesce più a dormire sonni tranquilli. “Stamattina Paul Manafort mi ha presentato le sue dimissioni e io le ho accettate”, ha detto lo stesso candidato repubblicano. Trump ha ringraziato il suo ex capo della campagna elettorale per il “gran lavoro” realizzato durante le primarie e la convention di Cleveland.
Insomma, arriva l’ennesimo terremoto ai vertici della campagna di Trump, dopo quello che, lo scorso giugno, aveva portato al licenziamento del manager Corey Lewandowski e la breve ascesa di Manafort. Il suo ruolo era stato già ridimensionato due giorni fa dopo un nuovo “rimpasto” effettuato da Trump riguardo al suo team elettorale nella corsa alla conquista della Casa Bianca. A poche ore dalle scuse pronunciate dal magnate americano – “rimpiango di aver detto cose sbagliate” – e dopo gli attacchi ricevuti dal responsabile dei discorsi scritti per il Comitato nazionale repubblicano, Richard Cross e le defezioni di 50 dirigenti del Grand Old Party, un altro esponente di punta del partito repubblicano si allontana dal tycoon.
Manafort era salito alle cronache quando il New York Times lo aveva accusato di essere il protagonista di un giro di milioni di dollari “non limpidi” che avrebbe ricevuto come compensi “non dichiarati” da movimenti ucraini filorussi. Il quotidiano aveva ventilato possibili collegamenti tra la Russia di Putin e il candidato repubblicano, con le conseguenti speculazioni sulla volontà di Mosca di influenzare la corsa alla Casa Bianca.