Domande mancate e risposte senza replica, la conferenza di Meloni diventa un comizio

Nell'incontro con Meloni era concessa ai giornalisti una sola domanda a testa. Impossibile così ribattere alle risposte della premier

Domande mancate e risposte senza replica, la conferenza di Meloni diventa un comizio

Conferenza stampa del Consiglio dei ministri a Cutro, 9 maggio 2023. Conferenza stampa di fine anno alla camera, 9 gennaio 2024. Sono i due poli della (dis)informazione targata Giorgia Meloni. La prima, ricorderete, fu un disastro (tanto che costò il posto di portavoce al fido Mario Sechi, poi approdato alla direzione del quotidiano Libero). Quella di ieri, invece, è stata una passeggiata di salute, per Meloni.

Quelle regole che imbrigliano i giornalisti

Cosa è cambiato? Semplice, a Cutro i giornalisti hanno fatto il loro lavoro, cioè hanno posto domande e incalzato il/la presidente del Consiglio, stigmatizzando quando dava risposte errate o svicolava. Perché quella fu una vera conferenza stampa. Ieri, invece, i 160 giornalisti presenti nell’Aula dei gruppi parlamentari della Camera sono stati imbrigliati dalle regole di ingaggio che impedivano di ribattere alle risposte. Niente “seconda domanda”, cioè, per ribattere ad un’eventuale imprecisione o mancata risposta.

Quaranta domande senza contraddittorio

Un limite evidente, ma nascosto sotto la coperta della durata monstre dell’incontro. “Se faccio fare 40 domande ad altrettanti giornalisti e stiamo qui due ore, come fate a dire che mi sottraggo alla stampa?”, il ragionamento-alibi di Giorgia. Ma un ragionamento-alibi che non regge. Perché quelle 40 domande (concesse, come se non fosse un obbligo per il presidente del Consiglio confrontarsi con la stampa), senza contraddittorio, non sono esercizio democratico, ma – paradossalmente – divengono un’opportunità per Meloni, il megafono per un comizio a reti unificate.

Un’occasione per poter sostenere ciò che vuole, senza che l’interrogante possa alzare un ditino e dire: “Guardi che le cose non stanno affatto così…”.

Il paradosso delle 350 domande in un anno

“Non ritengo di dovermi difendere dalla previsione di rappresentare un limite o un problema per la libertà di stampa o la democrazia”. È stato il paradossale incipit dell’incontro, “Mi si dice che non rispondo abbastanza alle domande, ho risposto a 350 domande in un anno, una al giorno”, si è cautelata subito Giorgia.

Peccato che nessuno abbia potuto chiederle chi, negli ultimi 365 giorni solari, le abbia posto quelle domande. Magari avrebbe dovuto rispondere che molte le sono state poste da Bruno Vespa o Nicola Porro. Con qualche incursione dell’ex dipendente Sechi. Punto. Nessun altro, perché la premier le interviste fatte da chi ti mette in difficoltà, semplicemente non le fa.

La balla sul divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari voluto dall’Eu

Altro esempio dell’escamotage, lo si è avuto sempre in apertura di conferenza stampa, quando (altro paradosso) la presidente del Consiglio, rigettando ogni accusa di aver in questi due anni imbavagliato la stampa, ha spiegato che il divieto di pubblicazione integrale delle ordinanze di custodia cautelare è scattato “in attuazione della direttiva europea del 2016 che riguarda il pieno rispetto della presunzione di innocenza” e che “non c’è nessuna limitazione del diritto di informare e essere informati”. Una balla. Acclarata.

Tanto che nei corsi di aggiornamento obbligatori per i giornalisti organizzati dall’Ordine dei giornalisti, uno specifico capitolo è dedicato proprio a quella direttiva e giuristi e avvocati spiegano che il testo di Bruxelles sostiene tutto il contrario. Ma nessuno in sala ha avuto la possibilità di spiegarlo a Meloni. Compreso il presidente dell’Ordine Carlo Bortoli, che era lì, al suo fianco.

Ma la colpa è anche dei giornalisti

Certo, anche i colleghi presenti non hanno brillato per iniziativa. Tralasciando le domande sul rapporto della presidente del Consiglio con gli insetti (“Lei schiaccia le formiche”, è stata una delle 40 domande…), i giornalisti parlamentari avrebbero potuto riprendere le risposte date fino a quel momento e contestarle. Invece hanno preferito perpetuare quel gioco vizioso del “io faccio la mia domanda e basta”.

Così hanno  interrogato Meloni per sette volte su Elon Musk, ma ognuno a modo suo. Sintomo di una disorganizzazione che non ha reso un buon servizio all’opinione pubblica. Solo la giornalista del Domani, Daniela Preziosi ha provato a rompere il circolo vizioso, accantonando il quesito che si era preparata e preferendo tornare su una risposta precedente. Speriamo sia un esempio per il prossimo incontro stampa. Tra 365 giorni.