Non c’è sorpresa, solo conferma. Uno studio dell’Università del Queensland ha dimostrato ciò che molti sospettavano: Elon Musk, proprietario di X (ex Twitter), ha manipolato l’algoritmo della piattaforma per favorire contenuti a sostegno di Donald Trump e dell’agenda repubblicana. La ricerca, condotta da Timothy Graham e Mark Andrejevic, ha analizzato 56mila post pubblicati tra gennaio e settembre 2024. I risultati sono inequivocabili: le pubblicazioni di Musk e delle figure repubblicane hanno ottenuto un incremento anomalo di visibilità e interazioni rispetto al passato.
I numeri che svelano la manipolazione del Social di Musk
Numeri parlano chiaro: i post di Musk, dopo il suo sostegno dichiarato a Trump, hanno registrato un aumento del 138% nelle visualizzazioni e del 238% nei retweet. Non si tratta di semplici coincidenze o di dinamiche organiche. Gli studiosi hanno rilevato un pattern sistematico: mentre le voci critiche verso il partito repubblicano o lo stesso Musk venivano rese meno visibili, i contenuti provenienti da figure come Trump o altri esponenti conservatori venivano amplificati, raggiungendo una platea significativamente maggiore.
Dal sospetto alla prova: le conseguenze etiche e politiche
La questione è politica, ma non solo. È anche tecnica e, soprattutto, etica. Musk, dal suo acquisto della piattaforma, ha spesso proclamato la volontà di “liberare” X da censure e manipolazioni, promuovendo la libertà di espressione. Eppure, quello che emerge è il contrario: una manipolazione intenzionale dell’algoritmo per piegarlo a fini propagandistici. Il proprietario di X non si è limitato a condividere le sue opinioni; ha usato il potere della tecnologia per alterare il flusso dell’informazione e orientare il dibattito pubblico.
La manipolazione degli algoritmi sui social media non è nuova, ma il caso di Musk rappresenta un ulteriore passo nella pericolosa convergenza tra tecnologia e politica. Quando una piattaforma con milioni di utenti attivi quotidianamente diventa il megafono di una sola parte, la democrazia subisce un duro colpo. Le piattaforme social non sono più semplici spazi di confronto; diventano strumenti di influenza, capaci di orientare opinioni e decisioni su scala globale.
Ci sono precedenti? Certo. Facebook, Cambridge Analytica, la Brexit, le elezioni americane del 2016. Ma con Musk si passa a un livello successivo: qui non si tratta di un’azienda terza che sfrutta i dati, ma del proprietario stesso che usa la piattaforma per i propri scopi. È un abuso di potere che pone interrogativi profondi sulla regolamentazione delle piattaforme digitali e sulla responsabilità dei loro leader.
La gestione di Musk ha già portato a un aumento di disinformazione e discorsi d’odio sulla piattaforma. Con l’eliminazione dei team di moderazione e la scelta di monetizzare i contenuti, X è diventata terreno fertile per teorie complottiste, fake news e polarizzazione politica. Ma la manipolazione dell’algoritmo aggiunge una nuova dimensione al problema: non è solo una questione di cosa viene pubblicato, ma di chi ha il privilegio di essere ascoltato.
La democrazia richiede trasparenza e pluralismo. Le piattaforme sociali, pur essendo aziende private, svolgono un ruolo pubblico cruciale. Quando i loro algoritmi vengono usati per manipolare il dibattito, il danno va oltre la singola elezione o l’immagine di un leader. Si tratta di una crisi sistemica: la fiducia nelle piattaforme, nei processi democratici e nell’informazione è compromessa.
Elon Musk con il suo social X si proclamava (e si proclama) difensore della libertà. Ora i numeri parlano chiaro: la libertà che il miliardario ritiene urgente preservare è principalmente una, la sua. E chissà che succederà quando non sarà più convergente con quella di Trump.