I listini pubblicitari della Rai non sono trasparenti e una situazione del genere non è accettabile per una società che gestisce il servizio pubblico televisivo. Non si può distorcere il mercato sfruttando una posizione di privilegio derivante dal canone pagato dai contribuenti. Questa la tesi dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quando due anni fa ha imposto a Viale Mazzini di invertire rotta, e questa ora la tesi che hanno avallato i giudici del Tar del Lazio, respingendo il ricorso presentato dalla stessa Rai.
Un’altra doccia fredda per l’amministratore delegato Fabrizio Salini (nella foto), dopo che la difesa per cercare di bloccare la delibera dell’Agcom prima ha battuto sulle difficoltà legate alla pandemia e poi ha parlato di atteggiamenti persecutori da parte dell’Authority. L’Agcom ha intimato a Viale Mazzini di cessare le pratiche giudicate non trasparenti e discriminatorie nella vendita degli spazi pubblicitari, chiedendo il rispetto del contratto di servizio 2018-2022, relativamente ai principi di concorrenza, di trasparenza e non discriminatori nella conclusione dei contratti pubblicitari.
L’emittente pubblica, secondo l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, avrebbe fissato valori teorici dei prezzi di listini mediamente più alti di quelli presenti nei listini dei corrispondenti livelli della concorrenza, per poi però realizzare sconti elevati e differenziati. Nessuna corrispondenza insomma tra i listini pubblicitari e i prezzi effettivamente praticati. Contro quel provvedimento la Rai ha fatto ricorso, sostenuta da Rai Pubblicità, la società concessionaria per la pubblicità, amministrata dall’ex sottosegretario leghista alle telecomunicazioni Antonio Marano. A chiedere invece che il ricorso venisse respinto è stata Mediaset, concorrente di Viale Mazzini. E il Tar ha confermato la delibera dell’Agcom, ritenendo il ricorso della Rai in parte inammissibile e in parte da respingere.
Per i giudici, “l’oggetto dell’intervento dell’Autorità non risiede in una puntuale contestazione del prezzo praticato, ma nell’opacità delle politiche tariffarie” e “tale opacità impedisce l’accesso a dati e informazioni che l’organo di vigilanza ha, per espressa disposizione normativa, titolo ad avere”. Altro che, come sostenuto da Viale Mazzini, “compressione della libertà di iniziativa economica”. I giudici amministrativi del Lazio hanno sottolineato che la ricorrente è concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo e come tale onerata di specifici obblighi, indicati nel contratto di servizio, oltre ad essere sostenuta da risorse di origine pubblica provenienti dal canone radiotelevisivo.
Non è possibile, per il Tar, che le risorse pubbliche di cui il concessionario dispone comportino una distorsione nel relativo settore concorrenziale. Ancor più esplicitamente: “Oggetto principale della contestazione non è l’accertata discriminazione della clientela nel settore della raccolta pubblicitaria ma, a monte, l’opacità delle pratiche commerciali e tariffarie messe in atto da Rai, opacità che non pone peraltro in condizione l’Autorità di svolgere pienamente la propria missione istituzionale”. Senza contare “la fissazione di prezzi teorici troppo elevati, l’utilizzo di un software proprietario scarsamente trasparente all’esterno, l’applicazione sistematica di sconti ingenti, la mancanza di parametri tariffari univoci e chiari”. Sul fronte pubblicitario insomma tutto da cambiare.