Una procedura aperta dall’Unione europea e chiusa in un cassetto dall’Italia sperando, chissà, che qualcuno prima o poi se ne dimenticasse completamente. Non c’è altra lettura possibile su quanto accaduto in questi anni con la cosiddetta “legge Gasparri”, che avrebbe dovuto traghettare l’intero sistema televisivo italiano nell’era del digitale. Ma che ha causato sin da subito seri problemi. Già nel 2004, immediatamente dopo la sua approvazione, l’Unione europea ha aperto una procedura d’infrazione per via di alcune incompatibilità con la legge quadro europea. I provvedimenti adottati dall’allora governo di Silvio Berlusconi e dal suo ministro per le Telecomunicazioni, Maurizio Gasparri, da un lato escludevano l’accesso al mercato delle trasmissioni in tecnica digitale ad operatori che non fossero già attivi in tecnica analogica e, dall’altro, concedevano tali frequenze alle imprese già operanti senza procedure obiettive, proporzionate e non discriminatorie. Insomma, rilievi pesanti dall’Europa e aspre polemiche in Italia per gli oggettivi vantaggi di cui le televisioni riconducibili allo stesso presidente del Consiglio hanno poi beneficiato. Di qui, la decisione di Bruxelles di aprire una procedura d’infrazione.
UNA STORIA SBAGLIATA. Ma non è tutto. La vicenda è ben più complessa ed è stata ricostruita punto per punto in un’interrogazione presentata dal senatore M5S Primo Di Nicola al ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola lo scorso 29 ottobre. Dopo il procedimento avviato da Bruxelles, infatti, le Autorità italiane si erano impegnate ad adottare “misure rispondenti agli obiettivi comunitari in materia, anche mediante l’indizione di cosiddetto beauty contest in linea con le best practices europee”, precisa l’atto parlamentare. E non a caso l’8 luglio 2011 veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un bando di gara per l’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze. Ma neanche un anno dopo (il 20 gennaio 2012) il ministero dello Sviluppo economico, allora guidato da Corrado Passera, sospendeva il beauty contest, per poi annullarlo pochi mesi dopo. Preludio, come si legge ancora nell’interrogazione, di “un’ulteriore gara per l’assegnazione di un numero ridotto di frequenze, da ripartire tramite un’asta con offerte economiche, con rilanci competitivi sulla base di un importo minimo predeterminato”.
Il punto, però è che l’annullamento della prima gara e la modifica dei criteri e dei requisiti di ammissione del successivo bando, avevano ovviamente avuto l’effetto concreto di escludere dalla competizione alcuni dei precedenti potenziali aggiudicatari. Tanto che Europa Way srl e Persidera Spa presentaro ricorso alla Corte di Giustizia Ue che, nel 2017, sentenziava che l’annullamento del beauty contest, rientrando nell’esercizio delle funzioni di regolamentazione spettanti all’AgCom, “non potesse essere disposto su decisione ministeriale senza compromettere l’indipendenza dell’autorità medesima, e concludeva, quindi, per l’incompatibilità di tale procedura”. E sulla scorta del verdetto Ue, pure il Consiglio di Stato annullò tutti gli atti adottati sulla scia della norma ministeriale. Ciononostante, l’Agcom, chiamata dal Consiglio di Stato a pronunciarsi una seconda volta sulla vicenda, ha confermato lo scorso anno la procedura onerosa di assegnazione delle frequenze, giustificandola alla luce della maggiore rispondenza all’interesse pubblico.
GIORNI CONTATI. Resta, però, un punto interrogativo grosso come una casa, formulato prorio da Di Nicola: “Visto che obiettivo primario della gara in oggetto era la definizione della procedura di infrazione mediante un’adeguata ripartizione delle frequenze, non si comprende come non si sia ancora pervenuti al decisivo superamento delle contestazioni mosse dalla Commissione europea all’Italia”. Un interrogativo che il vice presidente della Vigilanza Rai rivolge proprio al Governo per sapere come intenda superare questo vulnus. Ma a distanza di quasi cinque mesi nessuno ha ancora risposto alla sua interrogazione. Il che è un grave problema, considerando che a breve potrebbe arrivare una maxi-sanzione oggi difficile da calcolare. Ma è altrettanto certo, se non si dovesse intervenire prima, che sarà milionaria, considerando che Bruxelles in questi casi irroga una sanzione una tantum e forfettaria, oltre ad una vera e propria penale “a far data dall’emanazione della sentenza, per ogni giorno di ritardo nell’adempimento degli obblighi unionali” che le stesse sanzioni Ue prevedono. Un conto salatissimo che potrebbe aggirarsi tra i 100mila e i 250mila euro ogni 24 ore.