Probabilmente si è caduti talmente in basso da aver toccato il fondo del barile. E, quando questo capita, non si può che risalire la china. Dopo il disastro sulla riforma della Giustizia Giuseppe Conte e Beppe Grillo, insieme ai “sette saggi” che stanno mediando tra le due posizioni nella speranza possa nascere il nuovo M5S, hanno deciso di dare una brusca accelerata: secondo quanto risulta a La Notizia, si sono dati tempo una settimana per sanare gli errori e colmare eventuali distanze. Non un giorno in più.
IL QUADRO. Per capire cos’è accaduto nelle ultime ore, però, bisogna riavvolgere il nastro. Due sere fa, nel pieno delle trattative per riuscire a trovare una soluzione sulla leadership, è esplosa la “bomba” della riforma della giustizia: dopo timidi tentativi di opposizione, i ministri M5S hanno dato il via libera alla riforma che smantella la legge Bonafede sulla prescrizione (leggi l’articolo). Ed è stato solo l’inizio dell’ennesima resa dei conti dentro il Movimento: da una parte infatti l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede (leggi l’articolo) e l’ex premier Conte (leggi l’articolo) hanno rotto il silenzio per schierarsi contro la riforma Cartabia, dall’altra è comparsa sul nuovo sito Cinque Stelle una nota che rivendica quanto fatto in Cdm con parole che rischiano di avere l’effetto della benzina buttata sul fuoco.
“Abbiamo salvato la nostra riforma”, si legge nel testo (non firmato) uscito nel primo pomeriggio di ieri. Ma tutto questo è stato solo il primo tassello caduto, in un vorticoso effetto domino. Il sentimento di gran parte dei parlamentari pentastellati – molti dei quali interpellati direttamente dal nostro giornale – è unanime: “Ci sentiamo messi da parte, esclusi, così non ha più senso nulla. In questo modo ci sentiamo esautorati non solo da Draghi, ma anche dai nostri ministri e dal vertice del Movimento”.
Una sensazione di “inutilità” talmente diffusa che non solo molti parlamentari l’hanno espressa pubblicamente sui social, ma che si è tradotta inevitabilmente in critiche a una riforma non condivisa da gran parte dei Cinque stelle. A metterci la faccia, come spesso accade, è l’eurodeputato Dino Giarrusso: “È totalmente inaccettabile quello che è successo – dice a La Notizia – La riforma licenziata dal Consiglio dei ministri è un insuccesso per noi, non capisco come abbiano fatto i ministri M5S. Le legge Bonafede a me sembrava ottima sulla prescrizione. Ma c’è di più: noi abbiamo promesso l’abolizione di questa norma iniqua agli elettori, essendo un tema del nostro programma elettorale. E oggi che facciamo? Torniamo indietro. Se non recuperiamo, è un tradimento”.
LA DECISIONE. Una posizione tranchant, condivisa da molti, come detto. E tutto ciò spiega come mai nelle ultime ore stia montando l’insoddisfazione dei parlamentari nella gestione non solo delle beghe interne al Movimento ma anche delle questioni più prettamente politiche. La sintesi del quadro: “Manca un leader da troppo tempo. Ora basta!”, esclama un senatore.
Il rischio, dunque, è che i gruppi di Camera e Senato, sentendosi esautorati, comincino ad andare a briglie sciolte e a non rispondere più a nessuno, con lo spauracchio fuoriusciti dietro l’angolo. Ed è anche per questo motivo, per evitare il pericolo (concreto) di un’implosione, che il tavolo della trattativa Conte-Grillo ha imposto una deadline ben precisa: bisogna sanare i contrasti e giungere a uno statuto condiviso da presentare entro la prossima settimana. Ne va della salute (e del futuro) del Movimento.