di Stefano Sansonetti e Carmine Gazzanni
C’è un Ministero per la coesione territoriale. Ma c’è anche un Dipartimento per le politiche di coesione. Per non parlare dell’Agenzia per la coesione territoriale. Non solo, perché in mezzo operano due organismi, il Nuvap e il Nuvec (fantasia al potere), che di fatto si occupano di verificare le politiche di coesione. Capirci qualcosa, pure per chi ci lavora, diventa davvero complicato. Eppure il settore è a dir poco strategico. Le politiche di coesione, sulla scorta di piani europei, hanno il virtuoso obiettivo di colmare gli squilibri che si registrano nelle aree sottoutilizzate di un Paese. In Italia, evidentemente, parliamo soprattutto delle Regioni del Sud. Ora, gestire gli ingenti fondi europei e nazionali destinati a tal scopo, circa 30 miliardi per il 2014-2020, non è un gioco da ragazzi. Ma apprendere che questi flussi di denaro passano attraverso il più classico dei gineprai all’italiana fa riflettere.
Il tragitto – Il primo anello della catena è il ministero ad hoc, oggi guidato da Claudio De Vincenti. Parliamo di un dicastero senza portafoglio che nella storia della repubblica ha contato appena sei ministri (vedi box qui a fianco), spesso solo per riservare una poltrona a qualche scalpitante politico. Per quanto senza portafoglio, però, un ministero produce sempre “staff”, qualsiasi natura abbia. Secondo l’ultimo aggiornamento pubblicato dalla presidenza del Consiglio, per esempio, risulta che De Vincenti non è stato parco di incarichi: nel suo ufficio di diretta collaborazione lavorano ben 17 persone. Dati alla mano è il ministero senza portafoglio col più alto numero di collaboratori. Il premier Paolo Gentiloni, per dire, ne conta di meno (14). E non parliamo di stipendi irrisori: la storica portavoce, Donatella Antonioli, percepisce una retribuzione di 120mila euro. Poco al di sotto dei 100mila euro, invece, troviamo le segretarie Laura Saraceni e Giulietta Scarpini. Ma il viaggio nei meandri del settore prosegue passando per l’omonimo Dipartimento di palazzo Chigi, che promuove e coordina le politiche di coesione. Guidato da Vincenzo Donato, forte di uno stipendio da 207mila euro, il Dipartimento conta su altre 67 unità di personale, distribuite tra una segreteria dipartimentale e il Nuvap, ovvero il Nucleo di Valutazione e analisi per la programmazione. In pratica si tratta di un organismo che aiuta a verificare il corso dei singoli investimenti in progetti di coesione. Ma il Nuvap, che costa 3,9 milioni di euro e può essere composto da un massimo di 30 membri, con tanto di uffici sottoposti, sembra essere una fotocopia del Nuvec, il Nucleo di verifica e controllo istituito presso l’Agenzia per la coesione territoriale. Quest’ultima, rispetto al quasi omonimo Dipartimento, provvede ad attuare i piani triennali di coesione (il più recente è quello per il 2017-2019). Al suo interno, appunto, c’è il Nuvec, che come il Nuvap può essere composto da un massimo di 30 membri, con tanto di uffici sottoposti, al costo di altri 3,9 milioni. Insomma, costi su costi.
Il resto – L’Agenzia, dal canto suo, oggi è guidata da Maria Ludovica Agrò, con stipendio sopra i 200 mila euro. Sotto di lei ci sono due dirigenti generali, Vincenzo Gazerro e Alberto Versace, che tra stipendio di base, parte fissa, parte variabile e retribuzione di risultato arrivano ai 180 mila euro l’anno. Sotto di loro spuntano altri 15 dirigenti, con compensi tra i 90 e i 95 mila euro. Ad ogni modo, dalle griglie riportate on line, i dipendenti non dirigenti dell’Agenzia sono arrivati a sfondare quota 200. Lavorare all’attuazione dei progetti di coesione, va ribadito, non è facile. Ma in certi frangenti sembra di trovarsi di fronte a un’ammucchiata. Del resto che l’Italia abbia idee non molto chiare sulla coesione è certificato dalla storia. Il Dipartimento per la coesione, infatti, nasce all’interno del Ministero dell’economia (all’epoca diretto da Fabrizio Barca) per poi trasferirsi sotto il cappello del Ministero dello sviluppo ed essere successivamente assegnato a Palazzo Chigi. Molte idee, e confuse.