Ci hanno provato con la razza, poi con l’etnia, poi con il ceppo e ora hanno trovato la leva: la lingua. L’idea è del senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia che ha depositato un Ddl per mettere mano addirittura alla Costituzione. Obiettivo: aggiungere all’articolo 13 il comma “L’italiano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti i cittadini hanno il dovere di conoscerlo e il diritto di usarlo”. Il senatore ha già pronto anche lo slogan: “Sacralizzare la lingua italiana – spiega – riconoscendola costituzionalmente è al tempo stesso riconoscere un patrimonio inestimabile e assieme proiettarlo nel futuro!”.
Menia vuole inserire la nostra lingua in Costituzione. Per difenderla dalla presunta invasione di migranti
L’urgenza di inserire la lingua Italiana in Costituzione, secondo il senatore di Fratelli d’Italia, è urgente “per una pluralità di motivi”. Innanzitutto, dice Menia, perché “nel secolo della globalizzazione vanno mantenuti e rafforzati gli elementi identitari che danno un senso comune alla vita di una nazione” la lingua quindi diventa “elemento costitutivo e identificante della comunità nazionale, a prescindere dalle diversità locali”.
Dalle parti di Giorgia Meloni devono avere pensato che se la lingua “contiene tutti gli elementi qualificanti la storia e l’identità del popolo che la parla” allora la si può usare tranquillamente al posto della razza senza incorrere nelle sculacciate del Presidente della Repubblica e della comunità internazionale. Spiega Menia che “nell’articolazione del linguaggio non c’è soltanto l’espressione del pensiero in termini comprensibili, ma vi si condensano esperienze, relazioni, contatti, abitudini, vicende, aspirazioni e creazioni che, nel loro insieme, rappresentano l’evoluzione secolare di una comunità, cioè la sua identità nazionale”.
Il ceppo, l’etnia, la lingua. Ma l’invasione? Leggendo il testo del Ddl si trova anche quella: secondo il senatore rinsaldare il valore unificante della lingua serve “anche di fronte ad alcuni segnali negativi che vengono da alcune parti del territorio nazionale, in cui la centralità della lingua italiana è messa seriamente in discussione”. Eccoli qui, i nemici. L’idea di usare la lingua – strumento per aprirsi – per chiudersi è il cortocircuito della cultura di questa destra.
L’iniziativa fa il paio con il disegno di legge di un nutrito gruppo di senatori Fdi (prima firmataria la senatrice Giovanna Petrenga) che vorrebbero coinvolgere l’Unesco per salvare il liceo Classico. “Latino e greco – scrivono i senatori di Fratelli d’Italia – vengono considerate lingue non più parlate (infatti non lo sono nda), senza alcuna utilità pratica ed immediata, morte, e in quanto tali inutili, sebbene il nostro Paese abbia ovunque monumenti ed opere che riportano frasi in latino e corsi di laurea importanti dove la conoscenza di parole nelle lingue latina e greca non è affatto trascurabile. Nuove generazioni di laureati italiani che non sono in grado di leggere il significato di una scritta in latino su un monumento al contrario di molti loro coetanei stranieri”. Per in leggere i cartelli sui monumenti. Non stanno scherzando.
Del resto proprio ieri il ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano, dopo averci fatto sapere di essersi “imposto” di leggere un libro al mese come se fosse un’afflizione” ha annunciato di voler regalare un libro a ogni nato. Peccato che nell’età dai 4-14 anni il 96% dei ragazzi e delle ragazze ha letto almeno un libro non scolastico nell’ultimo anno. I libri andrebbero fatti leggere agli adulti che li vedono come questione di “disciplina” e non come opportunità. Cioè a quelli esattamente come il ministro Sangiuliano.