Un foulard rosso, un cappello a tesa larga e un’Alfa Romeo lungo la statale da Petrosino a Mazara del Vallo. Così Matteo Messina Denaro girava indisturbato mentre era l’uomo più ricercato d’Italia. Accanto a lui, spesso, c’era una donna: Floriana Calcagno, insegnante, nipote del boss Francesco Luppino, moglie di un altro condannato per mafia, Paolo De Santo. Una donna che oggi è in carcere, accusata di avere sostenuto la latitanza del padrino fino agli ultimi mesi della sua fuga.
Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Calcagno non è stata una semplice amante. La sua figura emerge come centrale nella rete di protezione del boss: appunti ritrovati nei covi, lettere inviate da Laura Bonafede — altra donna legata sentimentalmente e criminalmente a Messina Denaro — e ore di videosorveglianza raccontano un copione già scritto, dove la fedeltà personale si mescola con quella mafiosa, e i sentimenti si intrecciano alle staffette per eludere le forze dell’ordine.
Una vita normale, sotto copertura
Calcagno, scrivono i magistrati, forniva “sostegno logistico, aiuto e supporto morale e materiale”. Tradotto: accompagnava il boss, lo ospitava, ne garantiva la riservatezza. Con la sua auto organizzava scorte e spostamenti protetti tra Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Tre Fontane. Un meccanismo sofisticato che ha permesso al latitante non solo di sfuggire alle ricerche, ma anche di condurre quella che i pm definiscono una “vita normale”: cene al ristorante, passeggiate al mare, lunghe permanenze a casa di lei durante l’estate del 2022.
La versione fornita da Calcagno — secondo cui avrebbe scoperto l’identità dell’uomo solo dopo il suo arresto — non ha mai convinto la Procura. A smentirla sono i filmati, i tabulati telefonici, ma soprattutto le lettere gelose scritte da Bonafede, in cui la maestra rivale le attribuisce nomi in codice: “Handicap”, “Sbrighisi”, “Acchina”. In uno di questi scritti, datato 30 dicembre 2022, Bonafede racconta di aver visto “Handicap” uscire dal covo con una borsa Louis Vuitton, segno — per lei — di un’intimità ormai inaccettabile: “Le bastonate gliele darei eccome”.
L’altra metà della latitanza
Non è un dettaglio da poco. La gelosia in questo caso non è solo un fattore umano, ma diventa strumento probatorio. Per i magistrati, quel disprezzo racconta molto più di quanto la diretta interessata abbia mai confessato. Anche perché, dicono, è impensabile che una donna cresciuta in una famiglia mafiosa, sposata con un uomo condannato per favoreggiamento e imparentata con uno dei capi di Campobello di Mazara, non sapesse chi si celasse dietro il nome “Francesco Salsi”.
L’arresto di Calcagno, avvenuto oggi è solo l’ultima tappa di un’indagine che sta svelando la fitta trama di connivenze che hanno protetto Messina Denaro. Dopo la cattura e la morte del boss nel settembre 2023, l’antimafia ha ricostruito la rete che gli ha permesso per anni di vivere nella provincia di Trapani, sotto gli occhi di tutti. Una rete fatta di uomini ma anche, e forse soprattutto, di donne: amanti, postine, complici, tutte insospettabili. Maestre, professoresse, mogli.
Non è un caso. Se in Cosa nostra i ruoli ufficiali sono spesso occupati da uomini, l’infrastruttura affettiva e logistica della latitanza si regge su relazioni che sfuggono ai radar della repressione penale. Relazioni intime, fondate sulla fiducia e sul silenzio. Come nel caso di Floriana Calcagno, dove il confine tra l’amore e la complicità diventa così sottile da rendere l’uno indistinguibile dall’altra.