A ottobre l’occupazione continuerebbe a crescere. Il numero degli occupati si attesta a 23 milioni 694 mila e registra, rispetto a ottobre 2022, un aumento di 455 mila dipendenti permanenti e di 66 mila autonomi; il numero dei dipendenti a termine risulta invece inferiore di 64 mila unità. A comunicarlo è l’Istat. Su base mensile, il tasso di occupazione sale al 61,8%. Nel confronto annuo, il numero di occupati supera quello di ottobre 2022 del 2% (+458mila unità). Quanto basta per far esultare tutto il governo. “Un nuovo record storico di occupazione nel nostro Paese, il 61,8%, quasi mezzo milione di occupati in più rispetto a ottobre 2022. E aumentano soprattutto i contratti a tempo indeterminato. Avanti così, cresce l’Italia”, scrive sui social il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.
Non è tutto oro quello che luccica. Accanto ai numeri trionfalistici sugli occupati ci sono quelli molto meno entusiasmanti sulla disoccupazione
Ma non è tutto oro quello che luccica e questi dati vanno presi con le pinze. Innanzitutto, accanto ai numeri trionfalistici sugli occupati ci sono quelli molto meno entusiasmanti sulla disoccupazione. Ad ottobre il tasso di disoccupazione totale sale al 7,8% (+0,1 punti rispetto al mese precedente), quello giovanile al 24,7% (+1,5 punti). Un dato che ci porta ben lontano dalla media europea. In ottobre il tasso di disoccupazione destagionalizzato dell’area dell’euro è stato del 6,5%, stabile rispetto a settembre 2023 e in calo rispetto al 6,6% dell’ottobre 2022. Il tasso di disoccupazione dell’Ue è stato invece del 6,0%, stabile rispetto a settembre 2023 e in calo rispetto al 6,1% dell’ottobre 2022. Questi i dati pubblicati, sempre ieri, da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea. Ma c’è un ulteriore surplus di riflessione da fare sui dati diffusi dal nostro ufficio nazionale di statistica. La prospettiva mensile utilizzata dall’Istat non è mai utile a definire lo stato di salute del Paese.
I dati dell’Inps sui contratti attivati nei primi sei mesi del 2022 e quelli del 2023 ci dicono altre cose e ci restituiscono un quadro molto diverso. Nel primo semestre dell’anno, rispetto ai primi sei mesi di quello scorso, tra contratti a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato, abbiamo un saldo negativo di 23.771 contratti in meno nel corso di quest’anno. In particolare nel primo semestre del 2022 abbiamo avuto 776.471 contratti a tempo indeterminato contro i 729.050 del 2023 (con un saldo negativo di 47.421). I contratti a termine sono stati 1.812.322 nei primi sei mesi del 2022 e 1.835.972 nel 2023. Dunque c’è stata una crescita di 23.650 contratti precari nel corso di quest’anno. Ancora una riflessione.
I dati Istat sugli occupati, come risulta a pagina 8 del comunicato diffuso ieri, comprendono le persone tra 15 e 89 anni che nella settimana di riferimento in cui sono state interpellate hanno svolto almeno un’ora di lavoro a fini di retribuzione o di profitto, compresi i coadiuvanti familiari non retribuiti; sono temporaneamente assenti dal lavoro perché in ferie, con orario flessibile (part time verticale, recupero ore, etc.), in malattia, in maternità/paternità obbligatoria, in formazione professionale retribuita dal datore di lavoro; sono in congedo parentale e ricevono e/o hanno diritto a un reddito o a prestazioni legate al lavoro, indipendentemente dalla durata dell’assenza; sono assenti in quanto lavoratori stagionali ma continuano a svolgere regolarmente mansioni e compiti necessari al proseguimento dell’attività (da tali mansioni e compiti va escluso l’adempimento di obblighi legali o amministrativi); sono temporaneamente assenti per altri motivi e la durata prevista dell’assenza è pari o inferiore a tre mesi. “Le precedenti condizioni – scrive l’Istat – prescindono dalla sottoscrizione di un contratto di lavoro e gli occupati stimati attraverso l’indagine campionaria sulle Forze di lavoro comprendono pertanto anche forme di lavoro irregolare”.
Nella Forza lavoro l’Istat include tutti. Anche chi ha prestato servizio soltanto per un’ora
L’Istat ha anche diffuso i dati sul caro vita. Ebbene l’inflazione è ancora in calo a novembre. Secondo le stime preliminari scende allo 0,8%, valore che non si registrava da marzo 2021. Anche qui arriva puntuale il commento di Urso. C’è “un’ulteriore drastica caduta del tasso di inflazione. Lo scorso anno era all’11,8%, questo mese abbiamo segnato 0,8% e questo è determinato da diversi fattori: ovviamente anche dalla riduzione del prezzo dell’energia – tra l’altro oggi (ieri, ndr) abbiamo segnato il minimo annuo del prezzo della benzina e del gasolio – e ovviamente da altre azioni concomitanti, come quelle che il governo, con le associazioni di impresa, ha realizzato con il carrello tricolore”.
Ma Urso non la racconta giusta. Rispetto al mese prima i prezzi sono scesi in media dello 0,4% con l’unica eccezione degli alimentari (+0,7% a novembre su ottobre). “Il calo dell’inflazione annua è solo un miraggio dovuto alla matematica e al fatto che a novembre del 2023 si era raggiunto il record dell’11,8%, un rialzo da primato che non si aveva dal marzo del 1984. Insomma, è solo un effetto ottico”, ha affermato il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona, secondo cui “il dato invece sconcertante, è il fallimento del trimestre anti-inflazione”.
“Il provvedimento spot del governo – dice – è stato, come avevamo previsto, un flop, un fiasco totale, una presa in giro dei consumatori. Se a ottobre, primo mese di entrata in vigore del Protocollo, la variazione dei prezzi della divisione Prodotti alimentari e bevande analcoliche, ossia dei beni più interessati dall’iniziativa del governo, avevano registrato perlomeno una variazione nulla su settembre 2023, adesso, nel secondo mese di applicazione dei presunti sconti, i prezzi addirittura salgono dello 0,7% sul mese precedente. Una vergogna!”, ha concluso Dona.