Sono almeno dieci i Paesi implicati nell’affaire “Pegaus”, l’inchiesta giornalistica condotta dal Washington Post, insieme ad altre sedici testate internazionali, sull’impiego dello spyware, prodotto dall’israeliana Nso Group – chiamato Pegasus per l’appunto – nato per intercettare criminali e terroristi ma che sarebbe stato utilizzato per spiare i cellulari di giornalisti, attivisti, manager e politici, tra cui 13 tra presidenti della Repubblica, capi di Stato e di governo in carica o cessati dalle funzioni (leggi l’articolo).
I Paesi coinvolti, cioè che impiegavano come arma di spionaggio lo spyware Pegasus, sono Ungheria, Azerbaigian, Kazakhstan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, India, Messico, Marocco e Ruanda.
“La vicenda è totalmente inaccettabile, se è vera” ha detto commentato la vicenda la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Sarebbe contro qualsiasi regola. Nella Ue – ha aggiunto la presidente – c’è la libertà di stampa ed è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea e sarebbe assolutamente inaccettabile se fosse così”.
“La sicurezza nazionale è una questione che riguarda gli Stati membri, che devono garantire il rispetto delle regole” e l’indagine sull’eventuale spionaggio col software Pegasus dei giornalisti ungheresi, ha detto un portavoce della Commissione europea, Christian Wiegand, escludento un’indagine dell’Ue, spetta all’autorità nazionale sulla protezione dei dati. “Noi seguiamo comunque la vicenda da vicino”.
“Siamo al corrente delle inchieste giornalistiche in merito agli spyware utilizzati da alcuni Governi” a danno di giornalisti e attivisti “e tale spionaggio sui media, se voluto, è assolutamente inaccettabile” perché, ha ribadito Wiegand, “i media devono essere liberi di lavorare in modo indipendente e senza paura nell’Unione europea e nel mondo”.