Dietro la nomina di Alberto Di Rubba a presidente della Lombardia film commission ci sarebbe l’attuale tesoriere del Carroccio, Giulio Centemero. A rivelarlo, nell’ultima udienza del processo sulla compravendita gonfiata dell’immobile di Cormano da parte della fondazione in orbita leghista, è l’ex assessore alla cultura lombarda durante la giunta di Roberto Maroni, Cristina Cappellini. La donna, convocata in Aula dalla Procura di Milano in qualità di teste al processo con rito immediato in cui è imputato l’imprenditore bergamasco Francesco Barachetti, a cui viene contestato il peculato in concorso e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, ha rivelato che la nomina di Di Rubba “fu sponsorizzata da Centemero che lo indicò come la persona giusta al posto giusto”.
L’ex assessore ha spiegato che all’epoca dei fatti “non lo conoscevo personalmente” e “l’ho fatto solamente quando si è insediato” sottolineando di essersi “fidata anche del parere di altre persone”. Rispondendo alle domande del pubblico ministero Stefano Civardi, la Cappellini ha messo in fila tutte le puntate che hanno portato alla nomina alla guida dell’ente di Di Rubba spiegando che, a suo dire, “non cercavano un esperto di cinema” in quanto “l’identikit che avevamo in mente era quello di qualcuno capace di mettere a posto i conti” dato che “Lombardia film commission veniva da una gestione complessa e conflittuale”.
Una struttura “con costi fissi molto alti e con vari problemi come quello della sede e la necessità di risparmiare il più possibile” per i quali, prosegue la donna durante l’audizione, “era necessario contenere i costi, una gestione più oculata”. Proprio per questo, ha riferito in aula l’ex assessore, Di Rubba “sembrava l’identikit corrispondente alla figura che cercavamo”. Un intervento lungo e in cui è stato affrontato anche il tema del contributo straordinario da un milione di euro assegnato nel novembre 2015 a Lombardia film commission dalla Regione Lombardia, all’epoca presieduta da Maroni.
Di questi, come noto, 800 mila euro sono stati utilizzati proprio per l’acquisto dell’immobile di Cormano e a tal proposito, ha raccontato in aula la Cappellini: “Ricordo che in diverse riunioni si valutò la possibilità di utilizzare questi fondi aggiuntivi. Ci furono varie interlocuzioni tra Lombardia film commission e i tecnici del mio assessorato” e “alla fine si decise di stanziare quel tipo di contributo ma senza una finalità specifica, in quanto allora non si parlava ancora dell’ipotesi di acquistare un immobile. Almeno non con me”.
IL PROCEDIMENTO. Stando all’impianto accusatorio Di Rubba e il suo socio di studio Andrea Manzoni, rispettivamente già condannati in abbreviato a cinque anni e a quattro anni e quattro mesi, avrebbero spartito con un altro commercialista, Michele Scillieri (il quale ha già patteggiato 3 anni e 4 mesi), circa la metà degli 800 mila euro spesi dalla fondazione per la sede a Cormano attraverso un giro di società e prestanome. Un affare reso possibile, secondo i magistrati di Milano, da Barachetti che, infatti, negli atti dell’inchiesta viene ribattezzato “l’elettricista della Lega” perché ritenuto dai pm “molto vicino al Carroccio”.
Secondo i pm, l’imprenditore è “il principale artefice di una complessa architettura contrattuale” che, attraverso l’incremento dei costi di una ristrutturazione effettuata solo sulla carta, avrebbe gonfiato il prezzo del capannone di Cormano. In questo modo, secondo l’accusa, l’imprenditore avrebbe intascato la bellezza di 201mila euro.