“E che facciamo allora? Facciamo cadere Conte?”. Da settimane ta i corridoi parlamentari la domanda – dal chiaro sapore retorico – viene ripetuta quasi come fosse un mantra, ogni qualvolta una discussione rischia di creare divisione tra i presenti, grillini o democratici che siano. In un periodo di profonda incertezza a causa anche dell’emergenza, sanitaria ed economica, che l’Italia ha vissuto e sta vivendo, paradossalmente la politica si è dotata di maggiori certezze rispetto ai mesi precedenti: “Giuseppe Conte – riferiscono fonti di maggioranza – non solo ha dimostrato alte capacità nella gestione di situazioni critiche, ma ora è baciato anche dai sondaggi”. Sondaggi che fanno gongolare chi, quasi un anno fa, lavorava nelle retrovie per creare un’alleanza – quella tra Pd e 5 Stelle – che molti non vedevano di buon occhio e su cui non avrebbero mai scommesso.
BASTIAN CONTRARIO. Tra chi chiede, oggi come allora, un ritorno alle origini c’è senz’altro Alessandro Di Battista che in questi giorni si è di fatto messo di traverso parlando dell’esigenza di indire un “congresso” per riorganizzare il Movimento, a suo dire andato troppo in là rispetto ai principi originari. È la bomba che tanti si aspettavano scoppiasse da un momento all’altro: che Di Battista abbia espresso un pensiero che in tanti avevano già formulato, è d’altronde cosa nota. Che questo, però, possa avere degli effetti destabilizzanti nel Movimento, è tutt’altro discorso. Ed ecco che si ritorna alla domanda iniziale: nessuno ad oggi è disposto a rischiare che l’esecutivo vada in difficoltà. E, a quanto pare, non ci sarebbe soltanto un discorso di opportunismo “da poltrona”, ma anche un ragionamento più profondo: “l’idea che il Movimento aveva – spiega un esponente pentastellato – di un potenziale “terzo polo” è tramontata.
Bisogna fare una scelta: o si crea un fronte progressista col Pd o altrimenti si lascia spazio alle destre sovraniste”. Un pericolo che, a quanto pare, nessuno vuole correre. E, soprattutto, non vogliono correre Beppe Grillo e Roberto Fico, i due garanti – di fatto – della stabilità dello stesso Conte. E i principi delle origini? “Non ci rinunceremo mai – spiega a mezza bozza il deputato 5S – ma è ovvio che all’interno di un’alleanza alcuni bocconi amari devi digerirli”. Il discorso è, dunque, capire quanto convenga cedere su alcune battaglie identitarie pur di non lasciare che le destre alla Salvini e alla Meloni possano arrivare a governare il Paese.
NESSUNA TENSIONE. Questo gioco di mediazione, ovviamente, è labile e può cambiare dall’oggi al domani. Il caso Regeni con la vendita delle due navi militari al Cairo, per dire, aveva allentato l’ala “di sinistra” nel sostegno a Fico. Ma paradossalmente la ricostruzione giornalistica, poi rivelatasi una fake-news, secondo cui il Movimento avrebbe preso soldi dal Venezuela, non ha fatto altro che rinsaldare quel patto non scritto tra Fico, Grillo e Conte: “le destre sono in agguato, occorre non cedere d’un passo”. Ecco perché, assicurano più fonti all’interno dei Cinque stelle, se Di Battista dovesse uscire dal Movimento e fondare un qualcosa ex novo (con Paragone?) non avrebbe grosse conseguenze all’interno dei gruppi parlamentari.
DI MAIO POMPIERE. Ciò, però, non vuol dire che il Movimento sia disposto a rinunciare ad un personaggio – e “uomo da palco” – come Dibba. Lo sa bene, su tutti, Luigi Di Maio. In questo periodo il ministro degli Esteri, oltre che essere impegnato nel tutelare il made in Italy e garantire accordi vantaggiosi per la ripresa dell’export, è chiamato anche nel difficile ruolo di mediatore tra le varie correnti in campo. Lo sanno tutti, d’altronde: lo lega una profonda amicizia con Di Battista. Ma se anche Di Maio non vedeva (e a volte continua a non vederla, dicono in tanti…) di buon occhio l’alleanza col Pd, si è convinto della necessità che si debba rientrare in un’ottica bipolare. Non è ovviamente un processo che si svilupperà dall’oggi al domani. Probabilmente ci vorranno anni. Anche perché i problemi nasceranno proprio da quell’eventuale cambio di passo: “un conto è giustificare un’alleanza politica a livello nazionale, un conto è capire se ci sono i margini per farlo a livello locale”. L’esperimento umbro, d’altronde, è stato un disastro. Sono in tanti, però, disposti a riprovarci.