C’è una data cerchiata in rosso sul calendario ed è quella del 27 quando, alle Camere (salvo rinvii), si voterà la relazione sullo stato della giustizia del guardasigilli Alfonso Bonafede. Ecco perché lo scopo del fronte giallorosso era quello di accelerare e di stringere sulla costituzione della ‘quarta gamba’. Si temono incidenti. Matteo Renzi ha annunciato il suo voto contrario dando per scontato che si metterà di traverso sul tema della giustizia. Ma tanti nel partito frenano. Tanto che lo stesso senatore fiorentino ha deciso di aprire al dialogo per una “soluzione politica di respiro”. Al punto che non è detto che il 27 l’epilogo sarà dei peggiori per l’esecutivo.
Ci potrebbero essere assenze strategiche di renziani (e forzisti) per consentire al governo di non andare sotto. Oppure decidere di rimettersi all’Aula, depotenziando il carico politico del passaggio. Ma se la porta che ha aperto l’ex rottamatore non dovesse condurre da nessuna parte i renziani, o almeno una parte di loro, si sentiranno autorizzati ad avere le mani libere. Quale occasione migliore, allora, per scompigliare i giochi di un tema come quello della giustizia che è stato da sempre divisivo all’interno della maggioranza? Ed ecco che se pure il governo, mercoledì, dovesse farcela l’iter delle altre riforme del pacchetto giustizia nelle commissioni parlamentari potrebbe ugualmente diventare un Vietnam.
Al Senato pende da tempo la riforma del processo civile mentre alla Camera c’è quella sul processo penale. In ballo c’è la riforma della prescrizione su cui Renzi ha condotto un’aspra battaglia: il termine per gli emendamenti scade il primo febbraio. Tanto nella commissione Giustizia della Camera quanto in quella del Senato i voti di Italia viva potrebbero diventare determinanti. A Montecitorio la maggioranza ha 22 deputati, compreso il presidente Perantoni, il centrodestra 19, Iv tre, uno di Azione-Più Europa e la deputata Piera Aiello non iscritta ad alcuna componente del Misto.
Se i tre di Iv e Azione o Aiello dovessero votare contro, la maggioranza si ritroverebbe in minoranza. In caso di parità, invece, secondo il Regolamento, la proposta in votazione verrebbe respinta. In commissione Giustizia di Palazzo Madama la situazione non cambia: 11 senatori per il centrodestra (compreso il presidente), 12 per la maggioranza, uno per Iv e Giarrusso del Misto. E anche secondo il Regolamento del Senato “in caso di parità di voti la proposta si intende non approvata”. Nel mirino finisce proprio la persona del ministro Bonafede.
Il senatore socialista Riccardo Nencini, seppur abbia sostenuto giorni fa il governo Conte, votò contro la fiducia a Bonafede alcuni mesi fa. E Il senatore azzurro Luigi Vitali, che indiscrezioni accreditavano come tentato dalle sirene di Conte, ha dichiarato che non potrebbe mai sostenere un governo che ha come ministro della giustizia Bonafede. Ed è difficile che altri forzisti giungano in soccorso del governo proprio sul capo delegazione M5S. “Per liberali e garantisti, dire no all’azione del ministro Bonafede non è tattica politica, ma un dovere morale”, scrive l’azzurra Mara Carfagna. Persino Clemente Mastella confessa che la moglie, Sandra Lonardo, è “perplessa su Bonafede”.
Dal momento che “a lei non piace l’idea che ha fatto della giustizia. Non vota contro, ma a favore non lo so”. Non è un caso che il nome dell’attuale guardasigilli puntualmente ritorni nel gioco del rimpasto, per fare spazio ad altri ma soprattutto per sminare il terreno. Ma bisognerà fare i conti col premier e con la sua disponibilità, o meno, a sacrificarlo.