Destre divise su tutto, si prevede un 2025 da incubo

Dalla Rai alle armi a Kiev. Dall'Autonomia differenziata (dimenticata) al Premierato. Tutte le partite aperte che agitano il governo Meloni.

Destre divise su tutto, si prevede un 2025 da incubo

Anno nuovo, beghe nuove (ma anche vecchie). Quello che si sta per aprire dovrebbe essere, nelle intenzioni del/della premier Giorgia Meloni, l’anno della consacrazione. Il punto di svolta di una “rivoluzione” di destra che sta segnando il Paese, anzi la Nazione. Ma le incognite per la maggioranza sono dietro ogni angolo. A partire dalla guerra allo/a stesso/a premier scatenata dall’alleato Matteo Salvini, rinvigorito dopo l’assoluzione per il caso Open Arms.

Matteo vuole tornare al Viminale, altra grana per Meloni

Matteo vuole fortissimamente il ministero degli interni, consapevole che solo da lì può pensare a rilanciare la sua appannatissima azione politica. Proprio ciò che Meloni non intende concedergli, ben conscia che una Lega debole, significa un Fratelli d’Italia sempre più egemone. Rapporti di forza che inoltre si potranno far valere anche in sede di scelta dei candidati per le elezioni regionali (quest’anno si voterà in  Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto).

Sulla Rai è braccio di ferro Lega-Fi

Ma lo scontro nella maggioranza riguarda anche la Rai e, stavolta, l’avversario della Lega (che in carenza di presidente, si gode il consigliere anziano Antonio Marano al timone del servizio pubblico, ma è un gioco destinato a terminare presto) non è tanto Meloni, quanto Forza Italia, il partito della Famiglia Berlusconi. Antonio Tajani sa che non può non far eleggere un presidente Rai più che gradito a Mediaset, il Carroccio sa che deve raccogliere poltrone a Viale Mazzini, dove si sente sottostimato. Da qui lo stallo. Anche perché qualunque nome dovrà essere votato da almeno una parte dell’opposizione, con la quale si dovrà trattare, in qualche modo.

Mancano quattro giudici della Corte Costituzionale

E col centrosinistra il governo dovrà per forza venire a patti anche per l’elezione dei giudici della Corte Costituzionale. Ne mancano quattro – oggi la Consulta funziona con 11 giudici su 15, il minimo previsto – una situazione non più tollerabile. Soprattutto se considerata nell’ottica della decisione della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum sull’Autonomia differenziata, prevista per il 20 gennaio.

Anche quella una bella gatta da pelare per il governo: se il referendum si farà, si voterà insieme alle regionali e, soprattutto, potrebbe essere accorpato agli altri referendum sul lavoro proposti dalla Cgil. Un effetto traino (l’Autonomia, soprattutto al Sud è in grado di mobilitare milioni di italiani) che potrebbe portare a un doppio o triplo schiaffo per il governo.

Che fine ha fatto il premierato di Meloni?

Se l’Autonomia leghista sembra destinata all’oblio, un punto di domanda resta sulla battaglia tanto cara a Meloni, quella sul Premierato. La sua riforma. Da quanto anticipato ad Atreju, Meloni intende riproporla al più presto. Per il 9 gennaio è stata fissata la conferenza stampa di fine anno, e da lì potrebbero arrivare delucidazioni sia sulla tempistica che sui contenuti. Tuttavia quella riforma non può essere applicata senza una nuova legge elettorale, ma su quest’ultima permane la nebbia.

Di sicuro il governo intende accelerare sulla questione Albania: l’11 gennaio entrerà in vigore il nuovo decreto flussi. L’ennesima sfida alla magistratura è necessaria per dimostrare che quel miliarduccio speso per creare i due centri di Shengjin e Gjader (oggi desolatamente vuoti, con i poliziotti pagati per fare i turisti e godersi le spa) non sono stati soldi buttati.

Un mare di decreti e il nodo armi a Kiev

Ma i primi giorni di gennaio per la maggioranza saranno un vero tour de force. Il Parlamento sarà infatti chiamato a sbrogliare un “ingorgo” di decreti. Al netto di quelli già all’esame dell’aula, ve ne sono altri quattro approvati dal Consiglio dei ministri ma non ancora pubblicati in Gazzetta: il Milleproroghe, il decreto Caivano bis, un nuovo decreto Pnrr e, soprattutto, quello sull’invio delle armi all’Ucraina. Quello degli armamenti a Kiev è un tema che divide sia le opposizioni (Pd a favore, M5s e Avs contrari) che la maggioranza. Nella Lega si sta infatti cominciando a discutere l’ipotesi di un ordine del giorno che chieda almeno ulteriori caveat per consentire l’invio di armi.

Intanto l’economia va a rotoli e arriva il Patto di Stabilità firmato da Meloni

In mezzo a tutto ciò, la maggioranza di Giorgia Meloni dovrà anche occuparsi (si spera) della crisi economica, a partire dalla crisi di Stellantis il cui piano economico per il 2025 non prevede altro che una resistenza disperata. A complicare la situazione, poi, ci si metterà anche il Patto di Stabilità, che dal 2025 inizierà a far sentire i suoi effetti e limiterà la capacità di manovra del governo. Insomma, per il governo, ma per tutti gli italiani, il 2025 non è ancora cominciato ma già tira una pessima aria. Tanti auguri a tutti.